Il nostro ospite di oggi è l’editore Enzo Terzi, fondatore della casa editrice “ETPbooks” e della rivista “Periptero”. In questa intervista* ci parla del suo lungo rapporto col mondo del libro, della Grecia, della crisi e dei suoi progetti.
Scrittore, packager (allestitore editoriale), editore. Come e quando inizia il Suo rapporto col mondo librario e quali le tappe fondamentali di questo percorso?
Il rapporto nasce in uno stabilimento tipografico, oramai quaranta anni fa e da allora si è evoluto, arricchito di tutte quelle minuziose ma fondamentali conoscenze che si possono apprendere solo vivendo tutto il processo della produzione di un libro, dalla cura del testo alla grafica e all’impaginazione, fino alle mille insidie nascoste nei processi di stampa e di confezione. L’avvento del computer ed il suo sempre maggior impatto su questi processi ha segnato di fatto le tappe del mio rapporto con la carta stampata e soprattutto con i libri, come se ad ogni epocale innovazione si aprissero porte possibili e strade nuove da seguire. Gli ultimi anni in Italia già vedevano tutte queste conoscenze concentrate tra me e il computer e da questo connubio è nata l’attività di packager che mi ha permesso di conoscere e di farmi conoscere all’estero senza muovere un passo dallo studio. E’ stato il passo determinante al quale poi si sono aggiunte le esperienze di oggi.
Nel 2008 si trasferisce in Grecia. Quali motivi La spinsero a compiere questo passo? Come è stata finora la Sua esperienza qui, e come ha vissuto Lei la crisi?
I motivi del mio trasferimento sono essenzialmente personali. D’altronde il mio lavoro, gestito per intero tramite il computer non mi imponeva di risiedere in un luogo anziché in un altro. L’inizio fu travolgente con numerose commesse di lavoro. Il paese ancora non aveva compreso – nessuno credo in tutta Europa – cosa in breve tempo sarebbe successo. La fine del 2009 è stata la data che ha fatto da spartiacque. Le commesse in Grecia erano finite, i paesi dell’Europa dell’est con i quali avevo oramai da anni un buon rapporto di lavoro iniziarono anch’essi a procedere con maggiore lentezza ed in breve, a fine 2010 mi sono trovato anche io a vivere di persona la mancanza di commesse. Occorreva una soluzione, rapida per quanto possibile. Anche i mercati più lontani ed i pochi ancora attivi, oramai erano subissati dalle offerte dei grandi gruppi che svendevano di tutto e contro i quali l’artigiano ben poco avrebbe potuto fare. Nel frattempo il paese andava a rotoli in virtù di una crisi talmente devastante che ancora oggi, a distanza oramai di dieci anni dall’inizio, in molti fanno fatica ad accettare. Su tutte, c’era tuttavia una cosa che mi faceva veramente perdere il lume della ragione ed era la quantità enorme di storture, falsità e bugie che si leggevano sui giornali europei e tra questi, forse, quelli italiani si sono meritati il podio più alto. Nacque così il mio reportage: “Da Pericle a Papadimos: la rabbia e l’orgoglio di una terra con il futuro già scritto”. In esso riversai tutta la mia volontà di raccontare cosa succedeva sotto le finestre di casa mia, quelle vissute tutti i giorni a contatto con questa gente e con la sua stupita indignazione. Oggi dovrei aggiornare questo volume, aggiungendo probabilmente notazioni che qui potrebbero suscitare qualche contrarietà. Sono passati dieci anni oramai, l’urto è stato in buona parte assorbito, in un modo o in un altro, certo non senza sacrifico, non senza rinunce. Ma la storia insegna che certe catastrofi sono anche terreno per comprendere, per risorgere, per ricostruirsi più forti di prima. E questo non sta accadendo come potrebbe e non si può all’infinito continuare a dare ad altri la responsabilità. Occorrerà un salto generazionale almeno per uscire da un sistema che era preesistente alla crisi, che grazie ad esso quest’ultima ha potuto imperversare come nel ventre più molle di Europa e che ancora stenta a scomparire, per potersi permettere quella catarsi (Aristotelica appunto) che concederebbe al paese di imboccare la strada di una crescita duratura. Resta, per contro, la convinzione che un simile decennio avrebbe in altri paesi scatenato una cattiveria tale da squassarne profondamente i legami sociali; certo anche qui la fragilissima coesione sociale ne ha risentito ma è anche emerso ben altro, tra cui la solidarietà che non è slogan delle ONG o dei mille populisti che ci circondano ma gesto quotidiano che in fondo racconta dell’anima nascosta di un paese dove è bello rimanere.
Ci racconti un po’ di ETPbooks? Come nacque questa casa editrice, quali i suoi obiettivi e ambizioni? E, data anche la situazione economica, quali difficoltà dovette affrontare?
ETPbooks è nata tre anni fa, quale summa di tutto quello che avevo fatto nei decenni precedenti. E’ nata perché, ancora una volta, qui si è presentata l’occasione. La conoscenza e poi l’amicizia con una persona come Maurizio De Rosa, grecista, filologo, studioso, traduttore, sognatore anche lui, ha fatto sì che le competenze di ciascuno servissero all’altro proprio per compiere un passo in più. Ci sono voluti quasi due anni per mettere a punto il giusto cammino da seguire ed alla fine con tutti i rischi che aprire una attività può comportare, abbiamo iniziato, ciascuno con il suo ruolo ben definito e che ad oggi rimane, rispettoso delle libertà individuali e professionali di ciascuno. Ed il primo libro è stato quello di un fanariota sognatore anch’egli, Stefanos Dimitriadis che con il volumetto “Nell’anno del Signore 2400”, racconta di un mondo futuro, a portata dei sogni migliori in cui l’ordine della pace e della saggezza alla fine sovrasta tutte le umane vicende. Un libro che incarnava il sogno di ETPbooks. Le difficoltà anche economiche c’erano ed ancora non posso certo dire di essere arrivato ad una stabilità nonostante i segni di confortante crescita. Resta la grande domanda che ogni tanto mi pongo ed è sapere perché nessuna casa editrice greca, se non per sporadiche apparizioni, sapendo che nel proprio paese arrivano oramai mediamente 15-18 milioni di turisti l’anno, non si occupi, ancora oggi ostinatamente, di fare come ETP, cioè tradurre in italiano, francese ed inglese le infinite opere degli autori greci di ogni tempo, in grandissima parte sconosciuti all’estero. Meglio così per me senza dubbio alcuno ma, dietro questo come tanti altri esempi che potrei fare, si nasconde uno dei più grandi segreti della mancata ripresa del paese che si ostina a vivere delle sue ricchezze naturali come faceva trenta anni fa, con una immobilità progettuale che spesso risulta disarmante. In tre anni ETP si sta facendo conoscere sul mercato interno senza incontrare grande resistenza o, comunque sia, senza concorrenza interna. Di fatto i libri in lingua straniera qui si comprano all’estero direttamente, per quale ragione produrne? Le ragioni sarebbero tante, prima fra tutto il fatto che di autori greci, se si esclude il periodo classico, all’estero se ne conosce si e no il 20% e tanto ci sarebbe da promuovere e da fare. Ripeto, meglio così per me e per ETP: l’anno scorso abbiamo avviato la distribuzione in Francia, tra circa un mese inizierà la distribuzione in Italia. Sono traguardi che ci siamo conquistati con passione e sacrificio e sono traguardi dei quali ho anche paura perché rappresentano sì il raggiungimento di un obiettivo ma anche l’inizio di un cammino che potrebbe diventare pericoloso. ETP vuole rimanere fuori dai circuiti industriali, ciò nonostante un pubblico che ci segue c’è, ne abbiamo avuto recente dimostrazione in Italia dove l’attenzione verso di noi sta crescendo in maniera esponenziale, segno che almeno siamo riusciti a destare curiosità. In Francia le cose sono più complesse, soprattutto perché il pubblico francese è un pubblico di lettori accaniti e dalle molte pretese. Ma qualche risultato lentamente arriva.
Ultimo Suo progetto un periodico. Cos’è Periptero e a chi si riferisce?
Periptero è un altro sogno a lungo inseguito e che oggi, finalmente si sta concretizzando, avendo pubblicato il primo numero proprio un mese fa. Periptero è una rivista che uscirà in quattro numeri annuali, dedicata principalmente alla letteratura ma senza per questo dimenticarsi di tutte le altri arti e scienze sorelle: filosofia, storia, archeologia, pittura, teatro, scultura …. Periptero non è tuttavia una rivista accademica né una rivista di piglio giornalistico. E’ piuttosto uno strumento (almeno nelle sue intenzioni) per venire incontro a studenti ed appassionati dell’universo culturale greco, dai tempi classici fino ai giorni nostri. Il linguaggio è un linguaggio divulgativo pur nella scientificità dei lavori presentati. Si è creata per Periptero ed intorno ad esso una direzione scientifica di respiro europeo (un docente universitario italiano, uno francese ed uno tedesco) ed un folto gruppo di collaboratori che provengono dalle università di cinque paesi europei. Tutti hanno dato la loro disponibilità a cercare di fare una divulgazione erudita, a creare un ponte tra il mondo degli specialisti e quello degli appassionati cercando modi e forme di comunicazione che fossero adatti ad un pubblico più vasto possibile. Periptero si presenterà in Italia il 10 maggio prossimo alla Università Cattolica di Milano, andremo poi a Cremona e, dopo la pausa estiva a Roma, Napoli, Bari, Lecce e forse Taranto e Torino. E le richieste continuano ad arrivare per presentare questa che è una grande novità mancando del tutto in Italia uno strumento con simili ambizioni. Un’altra grande scommessa che spero sia accompagnata dalla fortuna.
Cosa rappresenta la Grecia per Lei?
La Grecia oggi di fatto è la mia casa. Sono passati dieci anni oramai dal mio trasferimento. Non mi sento un greco né voglio esserlo ma mi sento a casa. In fondo sono contento di essere uno “xenos”, uno straniero, ed è buffo quando in molti vedendomi mi chiamano “o italòs”, l’italiano. Non rimpiango di aver lasciato Italia dove pure ho ancora legami familiari e tante amicizie. Ma oggi quando vi torno, mi sento un turista e questo mi allevia, mi fa sentire lontano da uno stress ed anche da una cattiveria che vedo sempre più dilagare. Il mio paese è dove sono, senza palpiti patriottici che suonerebbero come luoghi comuni; dopo tutto cinquanta anni di Italia lascerebbero tracce e radici profonde in chiunque. Le difficoltà sono qui come sarebbero là dove ogni volta che torno sempre meno trovo gente felice. La Grecia, oggi, è casa mia.
*Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per “PUNTO GRECIA”.
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