Constantinos Tsoukalas, nato nel 1937 ad Atene, è un sociologo greco e professore emerito dell’Università di Atene. Inoltre ha insegnato a Parigi, tra il 1968 e il 1985, e ha scritto molti libri, tra cui “La tragedia greca” (1968), “Dipendenza e riproduzione, il ruolo sociale dei meccanismi educativi in Grecia” (1976), “Stato e sviluppo sociale” (1980), “La politica di oggi. Nicos Poulantzas e l’attualità della sua opera” (2001).
Tsoukalas è considerato uno dei sociologi più influenti della sua generazione nel campo della storia sociale e della teoria sociale e politica. È attualmente direttore della Fondazione Ellenica di Cultura.
Segue una sua intervista rilasciata a GrèceHebdo e Greek News Agenda.
Lei non è ottimista: sostiene che siamo all’inizio di una crisi a livello sia nazionale che internazionale. Secondo Lei, qual è la portata di questa crisi?
C.T.: Questa è -in primo luogo- una crisi europea e, per definizione, greca. Non è questione di ottimismo o pessimismo, la questione va ben oltre tali distinzioni. La sfida si trova qui, ed è enorme, ovvero colossale; e noi possiamo solo fare del nostro meglio per cercare di far fronte a questa situazione. Una situazione sia imprevedibile che assolutamente catastrofica. La crisi attuale non è soltanto economica, ma anche politica, ideologica, morale e costituzionale. Vediamo che oggi tutti i paesi europei cercano, se non di rivedere la loro costituzione, almeno di ridefinire i margini costituzionali. In questi tempi, c’è anche il problema dei rifugiati al quale non siamo in grado di trovare una soluzione. Infatti sembra molto improbabile che si giunga ad una soluzione adeguata nei prossimi mesi.
Nel frattempo, i problemi esistenti assomigliano a vulcani in attività persistente, per cui non si sa quando l’eruzione si verificherà. In effetti si tratta di una questione ideologica, e anche politica. Non è un caso che l’estrema destra si sia rinforzata in tutti i paesi europei. E non sto parlando solo della Francia; invece lì forse non è così importante perché la destra francese comincia ad adottare posizioni più o meno conservatrici. Ma diamo un’occhiata a cosa sta succedendo in Ungheria, in Germania, in Grecia; qui, però, le prospettive non sono buone. Ci troviamo di fronte ad un problema di natura politica che potrebbe portare all’esplosione, anche a quella del sistema europeo. Il “Brexit” inglese non sarebbe niente rispetto a ciò che potrebbe accadere se non si trova una soluzione immediata ai conflitti interni dell’Europa.
In questo senso, sono dunque piuttosto pessimista, dato che non si possono individuare i meccanismi e le procedure che potrebbero portare a qualche soluzione nel futuro. In questo momento, siamo lontani da una soluzione della crisi attuale. […] Per questo motivo, mi sento perso tra le rovine della storia. Non posso prevedere nulla e l’unica cosa che posso fare è comunicare ciò che credo io. E questo è il massimo che si può fare. Vedo la Grecia in una posizione insostenibile. Pertanto la situazione potrebbe essersi evoluta in modo molto diverso; ma non è un problema che riguarda soltanto la Grecia. Si tratta di un problema internazionale che ha bisogno di una risposta internazionale.
Come si può parlare oggi della Grecia ad un pubblico straniero?
C.T.: La Grecia fa parte dell’Europa. E non parlo da un punto di vista storico o culturale; questo è ovvio. La Grecia è un paese europeo anche istituzionalmente, e la stragrande maggioranza della popolazione greca ne è consapevole. Infatti, c’è solo una esiguissima minoranza che sostiene che la Grecia abbia un futuro al di fuori dell’Unione europea. Quindi non si pone nemmeno la domanda. Detto questo, credo che la prima cosa da fare sia rendere chiaro a tutti che moltissimi giornali europei hanno la tendenza di presentare i greci come pigri, come sottosviluppati. Idiozia pura e semplice!
Vi darò solo un esempio: il medio tempo di lavoro dei greci supera di oltre il 40% il medio tempo di lavoro dei tedeschi. Mentre, per quanto riguarda l’organizzazione, è ovvio che, in un paese dove il capitalismo è meno sviluppato -rispetto ad altri- e dove predomina la piccola proprietà, non possa esistere un’organizzazione del capitale simile a quella dei paesi in cui il capitale fu accumulato da generazioni. Come contrastare, quindi, un tale attacco ‘ideologico’ che ricorda quello che Edward Said denomina “Orientalismo”? Si dice che siamo orientali. Ma poiché questo discorso orientalista si basa su una documentazione totalmente erronea, occorre contrastarlo attraverso la presenza continua e sistematica della creatività. Però non è facile visto che questo richiede l’esistenza di una politica culturale. Si deve presentare un panorama della produzione culturale contemporanea del nostro paese, in stretta collaborazione con le istituzioni esistenti, sia greci sia internazionali.
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