Athena Skoulariki è docente presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Creta. Si è specializzata nei campi dello studio del nazionalismo e dell’analisi del discorso.
Laureata presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Atene, la studiosa ha completato i suoi studi post-laurea in Media e Comunicazione presso l’Università di Parigi 2 ( Panthéon-Assas) dove ha conseguito il dottorato (PhD) nel 2005. Il soggetto della sua tesi era: “Nel nome della nazione: il discorso pubblico in Grecia sulla questione macedone e il ruolo dei media (1991-1995)”. Athena Skoulariki ha approfondito inoltre anche le sue conoscenze sulla storia dei Balcani e su studi etnici presso l’École des Hautes Études en Sciences Sociales (EHESS) e INALCO (Parigi). Dal 2010 al 2014, la docente è stata membro della missione Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) a Skopje – specialista di Missione politica e d’ informazione (2010-13) e responsabile delle relazioni inter-etniche (2013-14). Le sue pubblicazioni comprendono articoli di ricerca su questioni come: la questione macedone, il discorsi nazionalistico in Grecia,le identità etniche nei Balcani ed i pregiudizi contro i gruppi minoritari. Nel 2009,la studiosa ha co-editato con Miltos Pavlou il libro “Migranti e minoranze: discorsi e politiche” (in greco).
Athena Skoulariki risponde alle nostre domande sul recente accordo di Prespa, firmato tra la Grecia e l’ l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (FYROM).
—Dopo 25 anni, è stato raggiunto un accordo tra la Grecia e l’ex Repubblica jugoslava di Macedonia (FYROM). Potrebbe darci la sua opinione su questo accordo?
Dopo 27 anni di crisi e negoziati infruttuosi, il fatto che i due governi siano riusciti a trovare un compromesso è già una conquista, indipendentemente dal suo esito. L’accordo di Prespa soddisfa moltedelle rivendicazioni reciproche dei due paesi, mentre allo stesso tempo, ognuno di loro deve acconsentire al riconoscimento delle sensibilità nazionali dell’ altro paese.
La Repubblica della Macedonia del Nord (per usare il nuovo nome), riconosce che il suo nome deve riflettere la distinzione tra il suo territorio e la regione greca della Macedonia. Accetta anche che questo nome debba essere ‘erga omnes’, cioè per tutti gli usi: domestico, bilaterale e internazionale. La Grecia, da parte sua, accetta la lingua e la nazionalità macedone (per “i cittadini della Repubblica di Macedonia del Nord”), con l’ indicazione che si tratta di una lingua e di una cultura slava che distinta dall’antica eredità greca. Su questo punto sono state espresse le più gravi reazioni in Grecia, non solo dai circoli nazionalisti, ma anche dall’opposizione di destra (il partito “Nea Democratia”), del partito del centro (Kinal) e persino del Partito Comunista.
Il fatto che la Macedonia del Nord deve passare emendamenti costituzionali per cambiare il suo nome e abolire qualsiasi riferimento che potrebbe implicare che ci siano indicazioni di “irredentismo” contro la Grecia è un’ulteriore garanzia per la parte greca, ma ovviamente una prova difficile per il governo di Zoran Zaev. Il fatto che la Grecia debba ratificare l’accordo dopo che questo emendamento costituzionale sia finalizzato, è ancora una sfida per il paese vicino.
Ma soprattutto, il cambio di nome deve essere approvato dopo un referendum, e questo è il punto più incerto del processo. Zaev è ottimista, ma tutto dipende dalla situazione. Dobbiamo prendere in considerazione, da un lato la reazione del Presidente della Repubblica Ivanov, chi proviene dall’opposizione, e un‘opinione pubblica molto divisa di fronte alla prospettiva di cambiare il nome nazionale, e , dall’ altro lato, il supporto degli albanesi del paese (il 25% della popolazione) e di tutti i cittadini che vogliono porre fine ad una controversia che mina l’integrazione del paese nell’Unione europea.
— Quali sono le ragioni principali per le quali una soluzione non è stata trovata per 27 anni?
La prima ragione è che, dopo l’indipendenza dell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia nel 1991, la Grecia ha cambiato la sua posizione sulla questione macedone.
Precedentemente, la diplomazia greca si concentrava piuttosto sulle rivendicazioni legate alle minoranze del paese vicino e aveva accettato la divisione (nel 1913) della regione macedone in tre parti (Macedoniagreca, jugoslava e bulgara).
Ma nel 1992, Antonis Samaras, l’allora Ministro degli Esteri nel governo di Costantino Mitsotakis, ha imposto una politica intransigente, che si è concentrata sulla questione del nome e del patrimonio antico, opponendosi all’ uso del nome “Macedonia” dal paese vicino. Questa esigenza non era realistica, considerando che questa Repubblica è stata fondata nel 1945 e che la coscienza nazionale macedone era già ben consolidata.
Le argomentazioni greche, incentrate sull’antichità della Macedonia, erano incomprensibili a livello internazionale e la Grecia si è rapidamente trovata isolata su questa questione. Per sbloccare la situazione, dopo il 1995, tutti i governi greci hanno negoziato un nome composito. Comunque, neanche l’altra parte, la FYROM, non era pronta ad accettare un compromesso.
Dopo il “veto” greco contro l’ammissione del paese vicino alla NATO nel 2008 e la mancanza di un accordo sul suo nome, il governo di Skopje, sotto la guida di Nikola Gruevski, ha lanciato una campagna nazionalistica, pretenendo una continuità storica con gli antichi macedoni.
Gruevski ha fatto costruire delle statue giganti di Alessandro Magno e Filippo II a Skopje e ha adottato una linea dura nei colloqui con l’ONU.
Comunque, la società ha reagito alla politica di “antiquisazione”, nonché alle pratiche autoritarie del “regime Gruevski”.
La caduta del suo governo e la buona volontà del governo Zaev per risolvere finalmente la questione del nome mirando arilanciare la candidatura del suo paese alla NATO e l’UE ha aperto nuove strade anche con il governo greco di Tsipras sorgendo in questo modo l’ opportunità di avviare dei negoziati diretti per trovare un compromesso. Il fatto che si tratti di due partiti politici di sinistra, a sostegno delle posizioni antinazionaliste, è stato ovviamente un fattore determinante.
– Se finalmente l’accordo viene ratificato da entrambe le parti, quale potrebbe essere l’impatto geopolitico?
Se questo è il caso, le relazioni bilaterali saranno normalizzate e stabilizzate. La Grecia è già uno dei maggiori investitori nella Macedonia del Nord. Il commercio e il turismo saranno ulteriormente facilitati.
L’appartenenza del paese alla NATO (poiché questa è la volontà della grande maggioranza dei cittadini) e l’apertura dei negoziati per la sua adesione all’UE contribuiranno alla stabilità interna della Macedonia del Nord, alla pacificazione delle pressioni nazionaliste provenienti dalla comunità albanese del paese, allo sviluppo economico e all’aumento della cooperazione regionale.
Nonostante la crisi del progetto europeo negli ultimi decenni e le preoccupazioni per lo Stato di diritto e la corruzione in alcuni paesi, l’adesione dei paesi dei Balcani occidentali all’UE deve andare avanti.
La regione del Sud-Est europeo deve essere un’area integrata, non divisa in piccoli stati fragili e antagonistici fra di loro.
-Lei ha studiato, tra le altre cose, le caratteristiche del discorso politico in Grecia sulla questione macedone, nel periodo 1991-1995. Quali sono attualmente i punti di rottura e le continuità al discorso pubblico in Grecia?
I luoghi comuni sulla questione macedone (partendo dal presupposto che “c’è solo una Macedonia ed è greca“) permangono purtroppo intatti per la maggior parte dei greci, e questo spiega le reazioni negative al momento dell’ annuncio dell’accordo.
L’opposizione di destra ha scelto di seguire la linea dura contro l’accordo adottando una retorica allarmista che riprende tutti gli stereotipi della retorica nazionalista sulla Macedonia. I movimenti dell’estrema destra si sono mossi verso la stessa direzione spingendosi anche oltre.
Di conseguenza, nel discorso pubblico, le posizioni intransigenti sono la maggioranza, basate su argomenti che non hanno nulla a che fare con le analisi dei specialisti, dei ricercatori e degli storici delle università.
La differenza rispetto al passato è che le posizioni moderate-anche quelle critiche- nei confronti del discorso nazionalista, sono molto presenti nei media – piuttosto sui giornali, sulla radio e in Internet che alla televisione, favorendo una retorica che punta su elementi sensazionali ed emozioni.
Insomma, nonostante l’apertura del dibattito, le posizioni dei partiti politici hanno un impatto considerevole sul discorso mediatico e, per estensione, sui giudizi dell’opinione pubblica. Questo è un circolo vizioso, dato che i partiti politici adattano la loro posizione ai sondaggi, ma è la loro stessa retorica che in gran parte plasma le opinioni dei cittadini.