Quali motivi la spinsero a trasferirsi in Italia? Quando e come ebbe inizio la sua collaborazione con la ERT (Radiotelevisione Pubblica Greca)?
Mi sono stabilito in Italia all’età di 13 anni, a causa del colpo di stato dei colonnelli del 21 aprile 1967. Mia madre non era militante attiva della sinistra, ma era comunque schedata negli elenchi della polizia politica. Ha ritenuto quindi di trovare rifugio in Italia, dove all’epoca studiava mio fratello, Oreste Kolosof, ed aveva lavorato nel cinema mia sorella. E’ andata via dalla Grecia subito dopo il golpe, appena riaperti gli aeroporti, mentre io ho dovuto aspettare la fine dell’anno scolastico e quindi l’ho raggiunta a giugno. L’accoglienza delle autorità italiane è stata molto calorosa e solidale. Mi è stato concesso di proseguire gli studi, fare la Terza Media in una scuola di Pietralata e poi il liceo classico, fino all’università, Scienze Politiche a La Sapienza. Parliamo del periodo che va dal famoso 1968 fino alla fine degli anni Settanta, un periodo di grande protagonismo del movimento studentesco e giovanile.
All’ERT ho iniziato a lavorare nel 1983. Il nuovo governo socialista aveva tolto l’emittente Tv dal controllo delle forze armate e cercava un corrispondente in Italia. All’epoca già collaboravo con “To Vima” e il quindicinale “Anti” e in Italia con il “Quotidiano dei Lavoratori”. Quindi ero un nome che circolava nell’ambiente giornalistico greco. All’ERT ho svolto tutta la mia carriera giornalistica e non mi sono mai pentito. Molti colleghi non vedevano l’ora di andare a lavorare nelle emittenti private, dove gli stipendi sono molto più alti. Io no. Mi bastava la soddisfazione di fare il mio lavoro in maniera corretta, senza sensazionalismi, senza grida, senza manipolare le notizie, senza idiozie lifestyle. Lavorare all’ERT è sempre stata una scelta sul tipo di giornalismo che volevo esercitare.
Dopo tanti articoli, servizi e reportage sull’Italia, quali momenti della storia recente del Paese individuerebbe e definirebbe lei come “storici”? Quali rimangono finora incisi nella sua memoria?
L’avvenimento che mi ha maggiormente impressionato è quello di cui tuttora mi occupo. Mentre tale avvenimento era in corso non ho mandato neanche un pezzo di corrispondenza ma in seguito me ne sono occupato a fondo, anche in un libro che è uscito nel lontano 1992. Mi riferisco al caso Moro, inserito nel più generale fenomeno della violenza politica. Intendo sia il terrorismo stragista dei neofascisti e dei servizi deviati, sia la lotta armata dell’estrema sinistra che ne è seguita. Credo di essermene occupato a fondo, spesso oltre i limiti del giornalismo, quindi in termini politici, storici, sociali, ideologici. In questo periodo sto facendo gli ultimi ritocchi a un libro che uscirà in Italia tra qualche mese. Tratterà i rapporti tra il regime dei colonnelli e la strategia della tensione in Italia.
Si dice che la crisi finanziaria e migratoria abbia destato all’estero un vivo interesse nei confronti della Grecia. Si verifica una tale tendenza in Italia?
Sicuramente. Durante tutto il periodo della crisi il popolo italiano ha seguito attentamente gli sviluppi ed ha mostrato in tutti i modi la sua solidarietà verso il popolo greco. Gli italiani hanno subito capito che la Grecia era la cavia di una politica di feroce austerità, da applicare eventualmente in tutti i paesi del sud Europa. Presto quindi avrebbe potuto arrivare la loro ora, come fece capire anche Mario Monti. La solidarietà del popolo italiano è stata ancora più rilevante perchè è avvenuta mentre buona parte dei mezzi di informazione italiani era schierato in favore dell’austerità. Una rivista ateniese, “Tetradia”, ha pubblicato tempo fa un bel articolo di Mirko Giustini sulle vere e proprie falsità pubblicate dal “Corriere della Sera” sul caso greco. Gli italiani hanno ampiamente ignorato queste stupidaggini propagandistiche e valutato in maniera corretta la posta in gioco nell’eurozona. Credo quindi che il caso greco abbia contribuito in qualche maniera alla sconfitta di Renzi e di tutti i partiti italiani che si erano schierati in favore dell’austerità.
La potenza egemone dell’eurozona, la Germania, si rifiuta cocciutamente di recepire il messaggio che continua ad arrivare in maniera sempre più clamorosa da quasi tutta l’Europa. Ha ignorato il brexit, ignora le proteste dei Gilets Jaunes, ha ignorato il referendum greco, ignora il messaggio uscito dalle urne italiane. Quindi è facile prevedere che gli italiani urleranno ancora più forte. Sono un uomo di sinistra, quindi lontano anni luce dalle idee di Salvini. Ma sarebbe un errore ritenere che tutti coloro che lo votano siano fascisti o razzisti o nazionalisti. La maggior parte è gente profondamente delusa e ferita dalla politica dei vari Renzi, Monti e Berlusconi e crede che Salvini sia una clava pesante da far calare su Bruxelles. In Grecia l’elettore ha votato a sinistra ed è stato duramente represso. In Italia ha votato a destra ed è egualmente mal visto. Che altro deve fare un elettore europeo per farsi sentire? Si disprezza il voto popolare, mentre è a Bruxelles che sbagliano e continuano cocciutamente a sbagliare. In questa maniera i vari Salvini ed anche peggio, le varie formazioni fasciste e razziste europee, ne escono sempre più rafforzate: se la democrazia viene vanificata così clamorosamente, quale credibilità può continuare ad avere agli occhi dell’elettore europeo? Perchè non dovrebbe ritenersi autorizzato a scegliere soluzioni autoritarie? Il nuovo Parlamento europeo sarà pieno di questi estremisti di destra antieuropei, che metteranno in serio pericolo questo esperimento molto bello ed appassionante che è l’unificazione europea. Ma a Bruxelles e a Berlino sembrano essere ciechi e sordi.
Quando si parla dei rapporti culturali tra la Grecia e l’Italia, dei loro legami e affinità di vecchia data, è solito citare la frase “una faccia, una razza”. Cosa rappresenta oggi la Grecia e la cultura greca nell’immaginario collettivo italiano? Cosa si sa sulla Grecia moderna?
Per la verità è una frase che diciamo noi, gli italiani l’hanno appresa dai greci. E penso che abbia una base di verità, specialmente se si pensa che si riferisce agli italiani che i greci hanno conosciuto meglio in tanti secoli di convivenza, cioè i veneziani ed i meridionali. Le affinità culturali, talvolta anche antropologiche, sono evidentissime. Ma in tutta Italia la cultura della Grecia antica gode di grandissimo rispetto ed è forse conosciuta meglio che nel nostro paese. Ci sono grecisti italiani di fama internazionale e mi limito a fare solo il nome di un mostro sacro: Luciano Canfora. Recentemente l’università La Sapienza ha ottenuto il primo posto a livello internazionale negli studi classici. Al liceo classico l’apprendimento del greco e del latino non è uno scherzo. Io lo so bene perchè ero sempre rimandato a settembre. Ora mi diverto con i miei amici greci quando rivolgo loro qualche detto in latino e rimangono spiazzati. Spesso nelle corrispondenze dal Vaticano vedevo i colleghi disperati di fronte al latino, mentre io facevo un figurone traducendo e comprendendo se non tutto almeno il senso delle frasi.
La crisi ha messo la Grecia in primo piano e questo, paradossalmente, ha fatto un gran bene alla cultura greca. Si sono moltiplicate le traduzioni in italiano di prosa ma anche di poesia, si vedono film greci, addirittura sono aumentati gli studenti che studiano la nostra lingua e letteratura alle università italiane. Fino a qualche anno fa i turisti italiani andavano direttamente nelle isole. Ora non è più così: rimangono parecchi giorni ad Atene, hanno un approccio più curioso verso la cucina, la musica, la città stessa. Gli italiani ci vogliono conoscere, siamo noi che talvolta ci mostriamo ancorati a vecchi schemi folkloristici, tipo Anthony Queen in Zorba il Greco, siamo ospitali ma anche diffidenti, spesso chiusi in noi stessi, convinti che in fondo lo straniero non ci potrà mai capire. La crisi ci ha umiliato, dobbiamo acquisire di nuovo fiducia in noi stessi e confrontarci senza complessi con gli stranieri. In particolare con gli italiani che sono molto vicini a noi, non solo geograficamente.
E infine cosa rappresenta l’Italia per lei?
L’Italia per me sono tre cose. La prima è la democrazia. Ho conosciuto e studiato a fondo il sistema politico italiano. E’ stata una lezione di politica democratica, specialmente durante la cosiddetta “prima Repubblica”. Grandi personalità politiche, lucidissime, colte, con enormi capacità di sintesi e di manovra, di cui avremo grandissimo bisogno in tutta l’Europa. Oggi il dominio finanziario neoliberista disprezza la politica, contano solo i “mercati”. Se si potesse come per miracolo dare di nuovo vita ai grandi politici democristiani, comunisti e socialisti, avremmo forse una speranza di cambiare la politica europea.
La seconda è la cultura italiana. Recentemente ho finito di tradurre una serie di articoli giornalistici di Antonio Gramsci. E lì si vede la profonda capacità di capire, interpretare e spiegare. Grandi scuole, grandi pensatori, grandi capacità di dialogo. Mentre nella Grecia della crisi si è persa la capacità di dialogo e si preferiscono le grida e le battute. Non solo le nostre Tv private hanno distrutto qualsiasi accenno di cultura, di onestà e di razionalità. Anche buona parte del nostro mondo intellettuale si è “televisionato”, è caduto cioè nella volgarità, nella faciloneria, nei proclami ideologici e faziosi. Qualche tempo fa ho letto il lungo articolo di un professore di scienze politiche che sosteneva, con tutta serietà, che Gramsci era un teorico dello stalinismo. Probabilmente lo vedremo in Parlamento schierato a destra.
La terza cosa che mi lega profondamente all’Italia sono i miei due figli, Lucas ed Elias, che risiedono in questo paese. Ma anche i tantissimi amici, colleghi, ex compagni di scuola e di università. Qualcuno passa da Atene ed abbiamo occasione di vederci.
*Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per PUNTO GRECIA