Nel maggio 2019 la sede veneziana della Fondazione Prada, il settecentesco palazzo Ca’ Corner della Regina, ha aperto le sue porte al pubblico con una vasta retrospettiva dedicata a Jannis Kounellis (in greco: Γιάννης Κουνέλλης, 1936-2017), l’artista originale e rivoluzionario, greco di nascita e di formazione italiana, o come lui stesso usava dire “italiano di origini greche”, scomparso nel 2017. L’esposizione, visitabile fino al 24 novembre 2019, curata da Germano Celant e realizzata con la collaborazione dell’Archivio Kounellis, riunisce in sé circa settanta opere dell’artista che, nella seconda metà degli anni ‘60, legò il suo nome al movimento italiano dell’Arte povera. Provenienti da diversi musei e collezioni private, le opere allestite in ordine cronologico propongono ai visitatori una ricostruzione del percorso artistico e espositivo di Kounellis, segnando le tappe principali e i momenti di svolta di più di 50 anni di attività (1958-2016).
Nato a Pireo nel 1936, Kounellis, dopo esser stato respinto dalla Scuola di Belle Arti di Atene, si trasferisce nel 1956 nella capitale italiana portando dietro con sé un diario di infanzia sensoriale, che riemergerà negli anni a venire nella sua poetica di immagini, materiali e odori. Tuttavia, il suo percorso formativo e la ricerca di un linguaggio artistico proprio prendono l’avvio a Roma. Il diretto contatto con il ricco patrimonio artistico italiano, in particolare quello rinascimentale, inciderà profondamente sull’evoluzione di Kounellis e lui, nelle sue varie interviste, non si stancherà mai di citare i grandi maestri italiani, esaltando p. es. le qualità di Masaccio e di Caravaggio, entrambi ammirati perché “pittori ideologici”, o la carnalità di Tiziano. Altrettanto decisivo per il suo sviluppo si mostrerà il suo inserimento nell’ambiente culturale contemporaneo italiano e l’incontro con i movimenti e le correnti artistici d’avanguardia presenti a quell’epoca nella Penisola. Iscrittosi all’Accademia di Belle Arti a Roma, il giovane artista entrerà sotto la guida del suo professore Toti Scialoja in contatto con l’espressionismo astratto statunitense e resterà influenzato da pittori come Jackson Pollock.
Fin dai suoi esordi, il lavoro di Kounellis si contraddistingue per un’urgenza comunicativa lontano da percezioni individualistiche dell’arte. Le sue prime opere, esposte nel 1960 nella galleria “La Tartaruga”, infatti, consistono in lettere, insegne, scritte e segni tipografici ripresi dalle strade romane e riportati su grandi tele con i quali si tenta una scomposizione del linguaggio artistico conforme alla frammentazione di quello reale.
Da sinistra a destra, Jannis Kounellis: Senza titolo, 1959, (bottiglie, compensato), Senza titolo, 1960, (acrilico e smalto su tela), Senza titolo, 1969, (juta, granaglie, legumi, caffè), Senza titolo, 1960 (olio e matita su lino)/ “Jannis Kounellis” Fondazione Prada Venezia. Photo: Agostino Osio – Alto Piano. Courtesy: Fondazione Prada.
Col passare degli anni le sue ricerche creative, in sintonia con le riflessioni e le sperimentazioni artistiche del suo tempo, si fanno sempre più radicali e, già dal 1964, si nota un allontanamento dalla superficie del quadro, sebbene non ancora totale, verso lo spazio reale e tridimensionale. Avvertendo “la fine storica della prospettiva”, come un altro esponente dell’arte povera, Michelangelo Pistoletto, definì lo stato di angoscia e inquietudine creativa che tormentava l’arte del dopoguerra, una serie di artisti si muovevano sugli stessi binari nel tentativo di rivendicare un nuovo spazio di possibilità, un’unità dialettica tra arte e realtà. L’ “uscire dal quadro”, quindi, e “dai suoi limiti illusori”, contrassegnerà l’intero operato artistico di Kounellis d’allora in poi. Il distacco dalla superficie pittorica, sebbene lui non cesserà mai di considerarsi e definirsi “pittore”, in quanto “costruttore di immagini”, diventerà una costante del suo lavoro al fine di, come scrive Germano Celant, “abbracciare il mondo dei sensi e congiungersi con il caos vitale della realtà”. La spazialità e l’oggettualità costituiranno due componenti essenziali del suo linguaggio, che in quegli anni comincia ad impiegare materiali concreti e soggetti naturali.
Tali ragionamenti e orientamenti artistici portarono Kounellis vicino a un gruppo di artisti, ancora informale, perlopiù piemontesi ma anche romani (tra cui Kounellis), che in quel periodo, partendo da analoghe considerazioni e conclusioni, conducevano in Italia un lavoro simile. L’affinità di stile artistico, di posizioni e atteggiamenti nei confronti della realtà sociale e politica indusse il critico d’arte genovese, Germano Celant, a raggrupparli e accomunarli in un movimento artistico sotto il nome, da lui coniato, di “arte povera”. Negli anni successivi, e fino al suo scioglimento nel 1971, oltre a Kounellis, alla nuova corrente, che cambiò il volto dell’arte italiana e internazionale, associarono i loro nomi artisti quali
Giovanni Anselmo,
Alighiero Boetti,
Mario Ceroli,
Luciano Fabro,
Piero Gilardi,
Mario Merz,
Giulio Paolini,
Pino Pascali,
Michelangelo Pistoletto,
Gilberto Zorio.
Da sinistra a destra, Jannis Kounellis: Senza titolo, 1962-1963, (smalto e acrilico su tela), Senza titolo, 1968, (legno, ferro, pietre), Senza titolo, 1966, (smalto su tela)/ “Jannis Kounellis” Fondazione Prada Venezia. Photo: Agostino Osio – Alto Piano. Courtesy: Fondazione Prada.
Germano Celant, lo stesso curatore dell’attuale retrospettiva di Kounellis a Venezia, sosterrà il gruppo sia dal punto di vista teorico che espositivo. Sarà lui a curare la prima mostra collettiva dell’arte povera, “Arte Povera-IM Spazio”, inaugurata nel settembre del 1967 alla galleria “La Bertesca” a Genova, e a fornire, nello stesso anno, i fondamenti concettuali del movimento in un suo articolo sul n. 5 della rivista artistica “
Flash Art” intitolato “Arte povera: Appunti per una guerriglia”. In quel testo, che occupa il posto di un manifesto dell’arte povera, Celant si impegna a decifrare e descrivere i motori creativi, le riflessioni e le premesse di fondo di questo gruppo, dandogli nel contempo la compattezza e la consistenza di un programma artistico di stampo critico e rivoluzionario, in aperto dialogo e sintonia con il clima e il discorso politico italiano e internazionale di quei tempi, con l’evolversi della contestazione studentesca e il sorgere del movimento sessantottino. Benché l’argomentazione prettamente politica e sovversiva man mano si attenuerà nei testi seguenti di Celant, l’impeto anticonformista si manterrà.
Jannis Kounellis: Senza titolo, 2015, (ferro, carbone), Senza titolo, 1993-2008, (armadi, cavi di acciaio), Senza titolo, 2004, (rotoli di piombo e stoffa)/ “Jannis Kounellis” Fondazione Prada Venezia. Photo: Agostino Osio – Alto Piano. Courtesy: Fondazione Prada.
Per quanto riguarda, invece, il termine stesso di “arte povera” e il suo significato, non poco controverso e spinoso, Celant prese spunto, ampliandone la portata, dalle tesi di Per un teatro povero del regista polacco
Jerzy Grotowski. In linea con esse, in contrasto polemico con la società consumista e la mercificazione dell’arte e in contrapposizione a un’arte “ricca” di sovrastrutture e di convenzioni linguistiche legate al sistema dominante, superflua e artificiale, che perpetuava l’immagine di un’arte esterna alla vita reale, l’arte povera, appunto, era volta alla depurazione del linguaggio artistico, all’eliminazione degli strumenti espressivi e codici semantici compromessi, per liberare le potenzialità dell’arte, per riattivare la sua funzione sociale vitale. I materiali elementari e primari (terra, pietra, legno ecc.), “poveri” nel senso di essere esenti dalle costruzioni semantiche della civiltà, messi a confronto con il loro contesto culturale tramite la forma dell’installazione, una forma che lungi dall’essere una mera rappresentazione imitativa della realtà, costituisce un luogo reale, spaziale e relazionale, sarebbero divenuti i punti cardine del linguaggio artepoverista.
Jannis Kounellis, Senza titolo, 1971, (pittura ad olio su tela, sedia, violoncellista) / “Jannis Kounellis” Fondazione Prada Venezia. Photo: Agostino Osio – Alto Piano. Courtesy: Fondazione Prada.
Dal 1967, quindi, allineandosi in modo originale, personale e soggettivo con le idee e le posizioni del nuovo movimento avanguardista, le opere di Kounellis abbandonano ormai definitivamente il “linguaggio scritto e pittorico” per adottare quello “fisico e ambientale”. L’impiego di materiali e prodotti di uso comune o di elementi naturali (terra, cotone, legno, carbone, sacchi di juta, ferro, fuoco, acqua ecc.) lo accompagnerà d’allora in avanti per tutta la sua carriera. A quegli anni, per esempio, risale l’apparizione del fenomeno della combustione nelle sue opere, elemento simbolico fondamentale della sua poetica. E’ il caso della sua celebre installazione “Margherita di fuoco”, datata al 1967, una margherita d’acciaio dal cui centro spunta una fiamma prodotta da una bombola a gas. Il fuoco come espressione di grande potenza energica come portatore di mutamento, rivoluzione e rinnovamento riapparirà a più riprese nel suo lavoro (si ricordi a questo proposito il reticolo di fiamme disposto sul pavimento, un’installazione del 1971 presente nella retrospettiva a Venezia), pur assumendo diversi valori simbolici.
A sinistra: Jannis Kounellis, Senza titolo, 1967, (ferro, fiamma, tubo di gomma, bombola a gas), A destra: Jannis Kounellis, Senza titolo, 1968, (legno, lana) / “Jannis Kounellis” Fondazione Prada Venezia. Photo: Agostino Osio – Alto Piano. Courtesy: Fondazione Prada.
Le sue opere, adottando la forma dell’installazione, diventano vere e proprie scenografie di un incontro e scontro dialettico su due piani diversi: l’uno tra natura e civiltà (materiali naturali e prodotti industriali), e l’altro tra arte e realtà. Un rapporto, quell’ultimo, che viene evidenziato chiaramente, ad esempio, nel suo famoso Pappagallo (Senza titolo, 1967), un pappagallo vivo sullo sfondo di una lastra metallica, o in modo ancora più eclatante ed emblematico nella sua installazione di dodici cavalli vivi legati alla parete (Senza titolo, 1969), presentata al pubblico presso la galleria
L’Attico di
Fabio Sargentini nel 1969, che lo consacrò come artista a livello mondiale.
Jannis Kounellis, Senza titolo, 2013, (ferro, caffè) / “Jannis Kounellis” Fondazione Prada Venezia. Photo: Agostino Osio – Alto Piano. Courtesy: Fondazione Prada.
La suddetta teatralità, però, dell’opera di Kounellis, oltre agli stimoli visivi, è tesa a inglobare in sé l’intero mondo sensoriale. Avendo già dal 1960 sperimentato con l’elemento acustico, quando lui stesso recitava durante la mostra le lettere e le scritte riportate su tela, la sonorità viene spesso inserita come componente importante delle sue installazioni, sia implicita con la presenza di strumenti musicali che esplicita con la presenza, per esempio, di un flautista o di un violoncellista che interpretano dal vivo brani musicali. Altrettanto frequente, e suggestiva, nelle sue opere, sarà dal 1969 la presenza di sostanze (chicchi di caffè, grappa) che coinvolgono la percezione olfattiva del pubblico.
A partire dagli anni Settanta, parallelamente alla sua crescente affermazione internazionale che comporta le prime partecipazioni a prestigiose esposizioni artistiche, come la Biennale di Venezia (la prima volta nel 1972) e la documenta 5 di Kassel (1972) e l’organizzazione, in seguito, di numerose e indimenticabili mostre personali in tutto il mondo, l’opera di Kounellis si fa più greve e cupa, si tinge, senza però rassegnarsi, di disincanto e delusione. La svolta conservatrice della società e della politica in corso in quegli anni, la frustrazione delle aspettative rivoluzionarie e innovative dell’arte povera e la constatazione dell’impossibilità di sottrarsi alla forza invasiva e ineluttabile del sistema artistico dominante, imprimono fortemente nel lavoro di Kounellis, peraltro sempre sensibile alle vicende storiche e radicato nel sociale. La sua futura produzione sarà improntata a queste considerazioni e preoccupazioni, dettate dalla nozione di un legame inscindibile esistente fra arte e realtà, e assumerà un tono di critica e denuncia verso l’approccio astorico e a-ideologico di buona parte dell’arte in auge negli anni Ottanta.
A sinistra: Jannis Kounellis, “Senza titolo, 1972”, (porta murata con pietre), A destra: Jannis Kounellis, “Senza titolo, 1979”, (tela, legno, corda, fuliggine) / “Jannis Kounellis” Fondazione Prada Venezia. Photos: Agostino Osio – Alto Piano. Courtesy: Fondazione Prada.
Le manifestazioni di tale insofferenza nei confronti del contesto storico e culturale, tanti. Compaiono, allora, quali simboli della possibilità negata le porte, i varchi bloccati da pietre, lastre di piombo e.a. Le fiamme della sua prima produzione appaiono ora in forma ridotta, come candele o lampade a petrolio, o spesse volte, a partire dal 1979-1980, la loro immagine si trasforma nel suo negativo, in fumo e fuliggine, residuo morto e spento della vitalità del fuoco, ricordo fiacco delle sue potenzialità rigeneranti. Una poetica artistica di grande drammaticità che forse, in questo proposito, raggiungerà il suo apice nell’iconoclastico lavoro del 1989, esposto all’Espai Poblenou di Barcellona, quando al posto degli animali vivi del primo periodo, il pubblico si trovò di fronte a quarti di bue, poco prima macellati, appesi a ganci fissati a lastre metalliche e illuminati da lanterne a olio.
Jannis Kounellis, “Senza titolo (Tragedia civile), 1975”, (muro ricoperto in foglia d’oro, attaccapanni, cappotto, cappello, lampada a petrolio) / “Jannis Kounellis” Fondazione Prada Venezia. Photo: Agostino Osio – Alto Piano. Courtesy: Fondazione Prada.
Uno dei grandi maestri dell’arte contemporanea mondiale, artista anticonformista e rivoluzionario, un genio creativo coraggioso, dotato di forte spirito umanista e animato da un urgente e pressante desiderio di libertà, Jannis Kounellis continuerà senza tregua a creare nel tentativo di rivendicare un ruolo liberatorio e sociale per l’arte, sempre uscendo dal quadro per incontrare il mondo e interrogare la sua realtà, fino all’arrivo della sua morte, il 16 febbraio 2017, nella capitale italiana in cui aveva scelto di vivere e lavorare per più di sessanta anni.
Fonti di informazione:
Cartella stampa della retrospettiva di Jannis Kounellis, a cura di Germano Celant, presso la Fondazione Prada a Venezia (
pdf)
Celant G. (1967), Arte povera: appunti per una guerriglia, in “Flash Art”, nº 5, novembre-dicembre 1967
Gandini M. (2006),
Kounellis, a tu per tu col minotauro nel labirinto maledetto della guerra, in “Foro ellenico”, nº 5 (
pdf)
Lista G. (a cura di) (2011), Arte Povera. Interviste, Abscondita, Milano
Galimberti J. (2013), A Third-worldist Art? Germano Celant’s Invention of Arte Povera, Art History, 36 (2), pp. 418-441
s.d.
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