Il nostro ospite di oggi è il musicista e insegnante di musica, Carmelo Siciliano, socio fondatore e Presidente dell’Associazione Culturale “Filellenia – Centro di studi, formazione e documentazione su musiche, danze e tradizioni elleniche” e coordinatore delle attività del Gruppo Filellenico della sua città natale, Catania.
Noi l’abbiamo intervistato* in occasione dell’uscita del suo libro “Sentire la Grecia. In viaggio fra musiche e tradizioni”, pubblicato per i tipi di “Filellenia”. A metà tra il racconto autobiografico e il trattato etnomusicologico, “Sentire la Grecia” è un libro di carattere divulgativo che, attraverso un viaggio in lungo e in largo per la Grecia, offre ai suoi lettori un conciso ma completo quadro d’insieme della musica tradizionale greca, “un’introduzione”, come si legge sul retro di copertina, “al mondo della musica greca e ai suoi repertori, alle sue danze e ai suoi strumenti musicali, che non perde mai di vista quello che è il centro di gravità di tutte queste manifestazioni: la millenaria e affascinante cultura tradizionale della Grecia”.
In una discussione che verte su questioni quali il patrimonio musicale o culturale in generale, l’universalità o no del linguaggio musicale, la natura, l’attualità e ricezione della musica tradizionale, Carmelo Siciliano ci parla, tra l’altro, della sua passione per la musica tradizionale greca, della molteplicità e varietà regionale della tradizione musicale in Grecia, dei tratti e dei temi principali di essa e delle sue diversità rispetto a quella italiana.
Di recente pubblicato, “Sentire la Grecia” è un libro in cui traspare l’amore per la musica greca. Cosa l’ha spinta a interessarsi alla musica greca? Come è nato questo libro?
I due grandi amori della mia vita sono sempre stati due: la Grecia e la musica. Entrambi sono sbocciati quasi contemporaneamente, quando avevo dodici anni: entrai al conservatorio per studiare chitarra classica e andai per la prima volta in Grecia con la mia famiglia. Era quindi inevitabile che questi due amori si legassero prima o poi fra loro, trasformandosi in un unico e immenso amore per la musica greca.
Da anni mi occupo della divulgazione, in Italia, della musica greca attraverso conferenze e seminari sia teorici che pratici. Durante questi incontri, tuttavia, non c’è mai la possibilità di approfondire adeguatamente gli argomenti, e, soprattutto, di dare un quadro davvero completo della complessità di questa musica; così ho pensato che l’unico modo fosse quello di scrivere un libro. Ogni luogo della Grecia, infatti, possiede non solo strumenti musicali e tradizioni anche strettamente locali, ma soprattutto un particolarissimo modo di suonare, cantare e danzare; una vera e propria “pronuncia” del proprio repertorio musicale e coreutico. Per questo motivo, quando devo spiegare tanta ricchezza e diversità, uso l’esempio della lingua italiana e dei suoi “accenti locali”: dal modo di parlare, pur utilizzando la stessa lingua, è possibile determinare con un’approssimazione, spesso, anche di pochi chilometri, la provenienza di un parlante. La stessa cosa avviene in Grecia con i musicisti e i danzatori: la “pronuncia” del loro modo di cantare, suonare uno strumento o ballare rimanda spesso in modo inequivocabile a specifiche aree geografiche.
Quello che osservo, però, è che questa ricchezza sta pian piano svanendo e i repertori si stanno sempre più uniformando. Se dalle registrazioni di un tempo era possibile localizzare immediatamente un brano, grazie al modo di suonare uno strumento o di cantare, questo è diventato ormai quasi impossibile. Come è naturale, oggi, molto più che un tempo, si mescolano musicisti di diverse aree di provenienza, e che magari non hanno imparato per tradizione orale. Per cui la musica di Sifnos suona ormai come quella di Kalimnos, quella della Macedonia come quella del Peloponneso. In più, e questo lo considero grave, per tutta una serie di motivi molti musicisti, anche affermati, si sono convinti che la musica tradizionale greca sia in qualche modo un derivato di quella turca, che vedono come un modello a cui ispirarsi per ritrovare chissà quale “autenticità perduta”. Studiano la teoria e i repertori della musica classica ottomana e poi eseguono la musica greca usando lo stesso linguaggio: nella pratica suonano musica turca, che non è greca né nel ritmo, né negli intervalli musicali, né tantomeno nel carattere. Una vera e propria follia: come parlare una lingua usando la grammatica di un’altra.
Il libro si pone a metà strada tra il saggio etnografico e musicologico divulgativo e un racconto di carattere autobiografico. Per quale motivo ha scelto questo approccio? A chi si rivolge questo libro?
L’impostazione del libro è cambiata più volte durante il lavoro di stesura, e ho impiegato mesi per trovare una forma che mi soddisfacesse del tutto. Inizialmente il libro era un trattato sulla musica greca ed era rivolto a musicisti e per di più molto competenti, non a semplici appassionati. Tante nozioni, tanti concetti, tanta teoria, ma nessuno spazio ai sentimenti e alle emozioni che questa musica suscita. Mancava il cuore, mancava l’anima della Grecia, e cioè quello che io più amo della sua musica e del suo popolo. E invece io volevo raccontare la Grecia a chiunque, e trasmettere non solo contenuti, ma soprattutto amore e passione. E non ho trovato un modo migliore di far conoscere la bellezza della tradizione greca che non fosse quello di raccontare anche le mie esperienze dirette, i miei viaggi, le persone speciali che ho incontrato in tutti questi anni.
Come lei evidenzia nel suo libro, la musica tradizionale greca –come peraltro la musica tradizionale di altri Paesi– presenta notevoli variazioni a seconda della regione in cui ci si trova. Ci sono tratti comuni in questa molteplicità musicale che contraddistinguono la musica greca nel suo insieme?
Il repertorio tradizionale della Grecia è davvero sterminato, e molto diverso non solo da regione a regione, ma talvolta anche da isola a isola e da paese a paese, e proprio questo è uno degli aspetti su cui ho voluto insistere molto nel mio libro.
Dal punto di vista strettamente musicale direi che non ci sono tratti comuni a tutti i repertori della Grecia. Per quanto riguarda le tematiche delle canzoni, invece, assolutamente sì: in tutto l’ellenismo la maggior parte delle canzoni parla o di amore o di xenitià, parola non perfettamente (o elegantemente) traducibile in italiano, e che io ho reso nel libro come “lontananza e separazione”. E sono fra le più belle e ispirate, veri e propri capolavori della poesia del popolo greco.
Quale sarebbe l’attualità e la rilevanza della musica tradizionale greca nel mondo di oggi?
Vivo in un Paese, l’Italia, che ha ormai perso gran parte del contatto autentico e genuino con la propria musica tradizionale. Sono tantissimi i musicisti che la suonano, ma in pochi la conoscono davvero e sanno interpretarla con gusto e fedeltà. I più si limitano a riproporre arrangiamenti che la snaturano e stravolgono quello che è il suo carattere più profondo.
D’altra parte, a una ignoranza di fondo e alla mancanza di studio e ricerca si unisce il fatto che la musica tradizionale in Italia è in gran parte ormai decontestualizzata dal suo contesto naturale, cosa che, al contrario, in Grecia ancora resiste. Lì la musica, per esempio nelle feste, è funzionale soprattutto alla danza, e non c’è quindi bisogno di cambiarla o reinventarla continuamente per far sì che non risulti noiosa all’ascolto da parte di un pubblico passivo che assiste seduto a uno spettacolo senza intervenire, come succede invece in Italia.
Quanto conosciuta è la musica tradizionale o popolare greca in Italia? Ci sono elementi, filoni o generi di essa che hanno avuto un’accoglienza favorevole da parte del pubblico italiano?
Fino a pochi anni fa la musica greca era pressoché sconosciuta in Italia, ed era associata quasi esclusivamente al famigerato Sirtaki. Molto tempo fa avevo pubblicato un post sul mio blog, col tempo scopiazzato un po’ da tutti, in cui raccontavo le origini di questo brano e quanto non fosse assolutamente legato alla tradizione greca e meno che mai rappresentativo della musica greca tradizionale.
La musica greca era conosciuta solo da chi frequentava i gruppi di danze greche sparsi nella nostra penisola o da qualche appassionato che in Grecia aveva cercato al di là di quello che poteva vedere e ascoltare nelle taverne per turisti. Qualche anno fa è diventato di moda il rembètiko (o, almeno, quello che è stato spacciato per tale), mentre c’è ancora molta confusione nell’ambito della musica tradizionale. Ed è proprio per questo che nel mio libro ho scelto di trattare quasi esclusivamente questo aspetto.
E’ luogo comune dire che la musica è una lingua universale, senza confini, che unisce uomini e popoli. Dall’altra parte, però, sia la lingua delle canzoni che la loro diversa modalità e tonalità non può non porre alcuni limiti alla sua diffusione e ricezione. Cosa ne pensa?
La musica può essere definita un “linguaggio” universale, nel senso che tutte le culture si servono anche della musica come mezzo di espressione, proprio come si fa con una lingua. Ma la musica è, appunto, un “linguaggio”, non una “lingua. Così come avviene nel caso delle lingue, ogni musica (perlomeno quella tradizionale) è diversa dalle altre, ha un diverso suono, una distinta pronuncia, che non potrà mai essere eguagliata completamente da un non nativo. E non è assolutamente vero che tutti percepiamo la musica allo stesso modo. Musica che a un greco dell’Epiro trasmette gioia può risultare triste o terribilmente noiosa per un italiano, o perfino per un greco di un’altra regione, come Creta.
L’Italia e la Grecia sono due Paesi vicini, legati da affinità storiche e culturali. Si possono constatare simili legami anche nel campo della musica tradizionale?
Personalmente, e contrariamente a quella che è un’opinione molto diffusa, sono molto cauto quando si parla di presunte affinità fra la cultura italiana e quella greca, che al contrario io considero profondamente diverse.
Per quanto riguarda la musica, che è il campo di mio interesse, in base alla mia esperienza posso affermare senza alcun dubbio che i legami fra queste due culture musicali sono pressoché inesistenti, sotto qualsiasi punto di vista (con pochissime eccezioni, come i repertori delle isole greche del Mar Ionio).
In primo luogo, gli strumenti musicali impiegati sono diversi, e anche quando sono simili o uguali (penso al violino, al mandolino e al clarinetto, per esempio), sono suonati con uno stile e una tecnica completamente differente. In secondo luogo, non c’è alcuna comunanza dal punto di vista dei tempi musicali: in Grecia sono estremamente vari e complessi, mentre in Italia decisamente più poveri ed elementari. Infine, c’è una profondissima differenza nel modo di trattare le melodie, di abbellirle con ornamentazioni e melismi. E ancora, realtà assolutamente non trascurabile, in Italia la musica tradizionale è ormai legata al temperamento equabile, mentre in Grecia ancora oggi è prevalente l’uso della scala naturale e di quella pitagorica, i cui intervalli sono molto diversi da quelli a cui siamo abituati e che a un orecchio estraneo potrebbero addirittura sembrare “stonati”, quando in realtà a essere stonato è proprio il nostro attuale sistema musicale, quello temperato, in cui l’unica consonanza davvero perfetta è quella dell’intervallo di ottava.
*Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per “Punto Grecia”.
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