Il nostro ospite di oggi è Cristiano Luciani, docente di Letteratura Neogreca all’Università di Roma “Tor Vergata”.
Laureato in Lingue e Letterature straniere moderne (Lingua Neogreca) presso la «Sapienza», Cristiano Luciani ha conseguito nel 2008 il dottorato di ricerca presso l’Università Nazionale e Kapodistriaca di Atene con una tesi sulle giostre nella letteratura italiana e neogreca (XIV-XVII sec.).
Nel corso della sua carriera ha pubblicato numerosi articoli e saggi monografici su argomenti inerenti alla letteratura greca medievale e moderna. L’anno scorso, il volume a sua cura sul poema cinquecentesco di Giustos Glykos “Πένθος Θανάτου” [Lutto per la Morte], edito dall’Istituto di Studi Neogreci (Fondazione Manolis Triandafyllidis), è stato premiato dall’Associazione Europea di Studi Neogreci come migliore monografia pubblicata nel 2018.
Noi l’abbiamo intervistato* in occasione della sua nuova traduzione in italiano dell’Erotokritos, il capolavoro di Vicentzos Kornaros, uscito di recente per i tipi di ETPbooks. Lo studioso ci parla appunto di questo testo fondamentale della letteratura greca, del contesto culturale in cui esso nacque, del suo autore, ma anche delle motivazioni e dell’esperienza della sua traduzione.
Il suo rapporto con la letteratura neogreca è un rapporto che dura da anni. Ci vuole parlare un po’ di com’è nato il suo interesse verso la lingua e la cultura greca? Qual è stato il suo percorso formativo?
Il mio rapporto con la letteratura neogreca è nato quasi per caso durante gli studi universitari nel lontano 1983. La passione per il greco, maturata fin dagli anni liceali, mi spinse a organizzare un piano di studi che andasse a coprire un po’ tutto lo spettro della civiltà greca, dall’epoca micenea a quella moderna, passando per quella classica e medievale bizantina. Così, seguendo l’istinto, mi sono laureato in Lingue e letterature straniere, con il greco moderno come insegnamento principale e, a seguire, ho desiderato ampliare la formazione addentrandomi nell’orizzonte, per così dire, più strettamente filologico e conseguendo una seconda laurea in Lettere antiche, con un successivo perfezionamento in Paleografia greca presso la Scuola Vaticana e un Dottorato di Atene in “Studi teatrali” all’Università di Atene. Durante tale percorso ho avuto la fortuna di avvalermi, in maniera diretta o indiretta, del magistero di vari studiosi di indiscusso livello accademico, fra cui Enrica Follieri, Domenico Musti, Luigi Enrico Rossi, Nikolaos Panaghiotakis, Stilianòs Alexiu, Ghiorgos Kechaghioglu, David Holton, Alfred Vincent e Walter Puchner.
Ultima sua fatica la traduzione di “Erotokritos”, il poema seicentesco di Vicentzos Kornaros. Potrebbe fornirci un breve riassunto dell’opera e darci un quadro sintetico del contesto storico-culturale in cui essa nacque?
Un approccio all’Erotokritos pone lo studioso di fronte ad alcuni imprescindibili dilemmi: l’identità del poeta, dato che il nome di Vicentzos Kornaros era molto diffuso a Creta nel XVI-XVII e i documenti d’archivio in nostro possesso non risolvono (o complicano addirittura) il problema; la data di composizione del poema, che si lega ovviamente all’identità dell’autore e alla precisa individuazione di un modello di ispirazione (che è sicuramente italiano) e, infine, al genere letterario in cui collocare l’opera. A proposito del poeta, la maggior parte degli studiosi è concorde nell’identificarlo con Vicenzo Cornaro figlio di Iakovo, fratello dello scrittore veneto-cretese Andrea Cornaro. Quindi questo Vicentzos/Vicenzo, secondo le fonti archivistiche, sarebbe nato nel 1553 e morto nel 1613 o 1614. Sulla base di questi elementi deriva che il poema dell’Erotokritos sarebbe stato scritto tra il 1590 e il 1610, e avrebbe avuto come modello un volgarizzamento italiano di un testo francese (Paris et Vienne), rimaneggiamento a sua volta di un originale catalano. La storia, ambientata in un’Atene antica, assolutamente immaginaria, riguarda l’innamoramento di Erotokritos con Aretusa, ossia del figlio di un cortigiano e della principessa, che per ragioni di differenza sociale vedono ostacolare il loro matrimonio da parte del re Iraklis. Dopo l’esilio, prima volontario e poi forzato, del protagonista e l’incarceramento della principessa per essersi ribellata al padre, le cose torneranno in favore della giovane coppia che alla fine, non senza vicissitudini sfavorevoli e ulteriori ostacoli, potrà coronare la propria unione.
A proposito di questo periodo di fioritura culturale, il premio Nobel greco Ghiorgos Seferis aveva dichiarato che “l’odierna poesia greca comincia al tempo della Rinascenza/del Rinascimento cretese”. Che ne pensa? Sotto quali aspetti si giustifica una tale affermazione?
È ovvio che il ruolo riconosciuto della letteratura cretese (preferirei non parlare di “Rinascimento cretese”, secondo una nozione generalizzata di “Reinassance Cretoise” o di “Cretan Renaissance”, per ovvie ragioni culturali e stilistiche; meglio “Manierismo cretese”) è di indubbia importanza e Seferis, enfatizzando un po’ il fenomeno, ce lo conferma. Tuttavia, oggi vediamo le cose sotto una prospettiva decisamente più ampia, perché siamo consapevoli che la poesia greca non ha un’epoca di inizio, ma è sempre esistita, un po’ come le religioni etniche che vivono perché vive il popolo che le rappresenta, senza un vero e proprio fondatore. Lo stesso Seferis, come del resto Solomòs, Kavafis o Elytis, o vari altri poeti moderni non riescono a fare a meno di Omero, dei lirici antichi, come dei Vangeli, dei poeti ellenistici, e neppure dell’Erotokritos.
Erotokritos si rifà alle convenzioni della produzione letteraria occidentale e rinascimentale del suo tempo, a cui peraltro attinge la sua trama, ma anche motivi, tecniche e stili poetici. Come scrive, però, nell’introduzione del volume il professore David Holton “una parte importante della sua valenza artistica sta proprio nel modo in cui rompe con le convenzioni al fine di creare qualcosa di completamente nuovo”. Dove risiede questa originalità di Erotokritos e in che consiste?
Se dobbiamo andare a cercare novità a tutti i costi secondo criteri interpretativi moderni, allora diremmo che l’Erotokritos è uno dei tanti romanzi cavallereschi di ampia diffusione in Europa fra Cinque e Seicento. Ma se poi andiamo a esplorare la fucina di Kornaros ci rendiamo conto che il nostro autore ha maturato una sensibilità artistica tale da produrre con del materiale esistente (temi, motivi, fonti) di varia ascendenza (letteratura romanzesca colta, tradizione canterina popolare, teatro), un’opera di grande valore e soprattutto (e paradossalmente, a prima vista) originale, non fosse altro perché tutto quel materiale è passato attraverso il filtro dell’idioma cretese e del decapentasillabo rimato, che nella sua epoca ebbe una notevole importanza artistica ai livelli di maturità in cui l’aveva portato il conterraneo drammaturgo Ghiorghios Chortatsis con i suoi capolavori teatrali.
Sono ormai passati più di quarant’anni da quando Francesco Maspero diede alle stampe la sua versione di Erotokritos in italiano. Si è servito di questa precedente traduzione? Perché si è ritenuta necessaria una seconda e nuova traduzione dell’opera in italiano?
Nel corso del lavoro mi sono sempre raffrontato con le soluzioni suggerite da Maspero. Proprio da questa meticolosa operazione sono emerse alcune perplessità circa soluzioni adottate dal precedente traduttore. Nonostante l’aver dichiarato la massima fedeltà possibile e di seguire “il testo originale verso per verso”, non si capisce, p. es., perché alla fine, di un poema di 10.010 decapentasillabi, risulti un testo tradotto di 10.398 versi, considerando pure che di alcuni passaggi non esiste la rispettiva resa italiana, oppure essa risulta condensata, con omissioni anche serie, in forma di parafrasi. Oltre alle omissioni, ci si imbatte anche in palesi fraintendimenti morfologici (singolari per plurali, maschili per femminili, voci verbali passive per attive) o lessicali: ἄνοιξη (“primavera”) per ἀνοίξη (“aprire”), δοξαμένος (“prode”) per δοξεμένος (“colpito dalle frecce [di Amore]”, “innamorato”), μέρα (“giorno”) per μερά (“parte”), περιδιαβάζω “andare in giro”, per “divertirsi”, φλόγα (“fiamma”) per φλέβα (“vena”). Mi sono reso conto, quindi, che dal 1975, quando uscì la traduzione di Maspero per la Bietti, fino a oggi il lettore italiano ha sempre avuto per le mani un testo approssimativo, gustabile solo nello sforzo di avvicinare metricamente il settenario doppio non rimato della resa italiana al decapentasillabo rimato di Kornaros. Di qui l’esigenza, anche didattica, di proporre un nuovo esperimento.
Come è stato tradurre un’opera così complessa come Erotokritos? Ci sono parti o tratti di esso che l’hanno messo in particolare difficoltà? Quali riflessioni e considerazioni generali guidarono il suo lavoro di traduzione, magari suggerendone anche alcune scelte fondamentali come p. es. quelle di riportare il testo originale a fronte o di optare per una traduzione in prosa del poema di Kornaros?
Si è rivelata un’esperienza entusiasmante. Una spinta affettiva che ho sempre nutrito nei confronti di Creta e della sua produzione letteraria mi ha indotto ad azzardare questo lavoro. Quindi parliamo di coinvolgimenti emotivi che nel corso del lavoro hanno permesso di superare numerose difficoltà. A fianco, però, dell’aspetto irrazionale si è imposto poi il dato oggettivo della sfida; volevo mettere nelle mani del cultore italiano un testo fruibile su più livelli, da quello meramente narrativo, dal quale si potesse trarre la lettura di una piacevole storia d’amore (e di cortesie!) dal sapore squisitamente medievale, a quello più direttamente filologico, affidando al lettore competente la visione del testo greco, ricostruito tenendo conto delle esperienze filologiche degli editori precedenti (Xanthudidis e Alexiu), e dei relativi recensori, con il raffronto costante anche delle lezioni del codice Harleianus e della prima edizione veneziana del 1713. La scelta di riportare in prosa un testo poetico attraverso una traduzione di servizio, anche se corrispondente ai distici dell’originale, si sostiene su una convinzione di principio, quella per cui per apprezzare completamente le qualità artistiche di Kornaros, non basterebbe neanche una traduzione “poetica” (occorrerebbe l’ausilio di troppe note esegetiche, in aggiunta a quelle che compaiono alla fine del nostro volume), e comunque, di questo sono fermamente convinto, si dovrebbe essere in grado di assaporare il gusto dell’opera nell’originale.
*Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per PuntoGrecia
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