Il nostro ospite di oggi è il giornalista e reporter investigativo, Nikòlas Zirganos. A partire dal 1988, Nikòlas Zirganos ha collaborato con diversi media greci, tra cui le testate “Kiriakàtiki Eleftherotipìa”, “Kathimerinì” e l’emittente televisiva “Ant1” e con vari media internazionali come “Channel 7”, “BBC”, “RAI”, “The Independent”, “Refugees Deeply”, “SKY Italia”, “Los Angeles Times”. Dal 2012 lavora presso il quotidiano “Efimerìda tòn Sintaktòn”. 
Nel corso della sua carriera giornalistica si è recato in missione come reporter in più di 40 Paesi occupandosi del crollo dei regimi comunisti nell’Europa orientale, la dissoluzione della Jugoslavia, il Caucaso e il Medio Oriente, della crisi dei profughi e la crisi economica in Grecia, mentre ha indagato sulla rete internazionale del traffico illecito di antichità e sul caso “Getty”.
In parallelo e sintonia con il suo lavoro da giornalista, Nikòlas Zirganos è stato lo sceneggiatore, investigatore o produttore di molti documentari, tra cui le produzioni internazionali “Looters of the Gods” (DocArt), “Gaza we are coming” e “Egypt the other homeland” (small planet per Al Jazeera).
In questa intervista* ci parla tra l’altro delle imminenti elezioni europee, della loro importanza e dei “temi forti” della campagna elettorale, riferendosi anche al fenomeno dell’euroscetticismo e al futuro del progetto europeo.
 
Tra pochi giorni (tra il 23 e il 26 maggio) circa 400 milioni cittadini del Vecchio Continente verranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Europarlamento. Qual è, secondo lei, la posta in gioco di queste elezioni europee?

Dire che queste elezioni sono decisive sarebbe forse una banalità. Eppure, è una delle rare volte in cui questa parola ci sta bene. Vorrei fare, per prima cosa, un commento sulle elezioni greche per il Parlamento europeo. Purtroppo, nella campagna elettorale per l’Europarlamento manca del tutto la dimensione europea del dibattito pubblico e dell’argomentazione politica tra i partiti. Ciò che prevale, invece, è una polarizzazione estrema volta esclusivamente ai temi e all’agenda interni, di modo che, in un Paese che ha attraversato una crisi con tutte le sue conseguenze, e con l’intervento europeo, e che avrebbe tutte le ragioni di parlare di più dell’Europa, si discuta pochissimo, se non affatto, sull’Europa. Credo, allora, sia molto triste che in Grecia non esista il necessario dibattito sugli affari europei e il futuro d’Europa. Ora, per quanto riguarda l’argomento delle elezioni europee in Europa nel suo complesso, certamente queste elezioni hanno un’importanza diversa per ogni Paese. Cioè, non si può mettere a confronto cosa rappresenti l’Europa per la Gran Bretagna o la Grecia, per il Lussemburgo o i Paesi Baltici. Ciò nonostante, direi, è comunemente accettato che queste elezioni saranno un fattore importante che indicherà quale strada prenderà l’Europa di domani; e dico uno, perché è chiaro che il Parlamento europeo non è quello che determina il futuro dell’edificio europeo, tuttavia sarà importante quali equilibri si stabiliranno in questo Parlamento. E, purtroppo, sembra che i nuovi equilibri turberanno parecchio quei vecchi.  

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Molti parlano di una regressione del progetto europeo, di una crisi che ha visto la crescita dell’euroscetticismo e del nazional-sovranismo. Quali sono, secondo lei, le reali cause, i fattori alla base di questo fenomeno?

Non possiamo rimproverare i cittadini europei che nutrono o sviluppano un euroscetticismo, perché questi atteggiamenti non sono privi di fondamento. Senz’altro, questo non ha nulla a che fare con fenomeni come le scelte fasciste o xenofobe, estremamente xenofobe, di estrema destra, le quali ovviamente sono da condannare in quanto fuori dai valori europei. Non si tratta cioè di una questione di correttezza politica o di identificazione politica, ma il fatto dello sviluppo dell’euroscetticismo non è naturalmente immotivato. In primo luogo, la stessa costruzione europea, per diversi motivi, si presenta poco attraente agli occhi di vari ceti sociali in molti Paesi. In secondo luogo, l’Europa, o anzi le élites europee e i vertici Ue, non hanno saputo avvicinarsi ai cittadini europei. Si tratta, sostanzialmente, di certi meccanismi che oltre l’essere burocratici, nella loro maggioranza sono privi di legittimazione politica, non democraticamente eletti, e quindi senza responsabilità. In questo senso, le politiche prodotte da loro non servano necesseriamente i cittadini, e questi ultimi se ne rendono conto. In terzo luogo, le élites politiche in tutti i Paesi europei, o per non essere categorico, in gran parte dei Paesi europei non sono in grado di dare soluzioni ai problemi di fondo della società, mentre in tanti segmenti della società, soprattutto nei ceti subalterni, cresce la paura, la diffidenza, l’ansia per il futuro, l’insicurezza. Vedono una riduzione dello Stato sociale, vedono una restrizione di diritti, la concorrenza da altri Paesi, come la Cina o altri, che creano problemi all’economia europea con la perdita di posti di lavoro… In genere, buona parte dei cittadini europei sente un disagio e un’incertezza, e nella misura in cui le élites politiche non sono in grado di soddisfare, proporre delle soluzioni o di disporre di una narrativa convincente per questa gente, è logico che loro esprimano un euroscetticismo, un’apatia, spesso anche una contrarietà, nei confronti del sistema politico. Ciò non significa che vadano lasciati su questa strada.

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Fonte immagine: © European Union, 2016 Source: EC – Audiovisual Service. 
 
A suo parere, quali dei temi che dominano la campagna elettorale peseranno di più sul voto dei cittadini europei?
Penso che sia sbagliato pensare che l’Europa sia un insieme uniforme di paesi fatti tutti con lo stampo.
 
Tuttavia, ci sono temi paneuropei…

Ci sono questioni europee di diverso peso nel dibattito a livello nazionale. Per esempio, il cambiamento climatico e la questione ecologica sarebbe attualmente forse l’argomento principale o almeno direi l’argomento di dibattito di secondo posto in Germania o nei Paesi nordici, mentre nei Paesi europei del Sud, direi che non esistono partiti verdi, o almeno partiti verdi seri, per non parlare di movimenti ecologisti. E poi la questione dell’immigrazione è certamente una questione che avrà un forte impatto sul voto europeo, e allo stesso tempo è una questione che riguarda quasi tutti i paesi. Ma, naturalmente, è percepita in un certo modo nei paesi del Sud, soprattutto in Grecia, Italia e Spagna, e in modo diverso in altri Paesi come, per esempio, il Liechtenstein o i Paesi Baltici, o ancora, se volete, in Paesi come i Paesi di Visegrad che non accogliono nessun immigrato. Ebbene, questo problema non è altro che questo: in Europa la percezione dei problemi reali dei cittadini europei è così diversa di Paese in Paese che è molto difficile parlare di tutte le questioni in modo uniforme. In ogni caso direi con certezza che l’economia, l’immigrazione e, secondariamente, il cambiamento climatico sono questioni di preoccupazione per i cittadini europei, anche se i governi europei non se ne impegnino con la stessa intesità.

A detta di alcuni analisti, negli ultimi anni assistiamo a un riassetto geopolitico sia a livello regionale, nell’immediato vicinato dell’Ue, che mondiale. Secondo lei, come influiranno questi processi sul progetto europeo?

Il progetto europeo è già influenzato da questi processi, anzi direi che è infatti stato creato a causa di processi simili; perché il progetto europeo fu creato sulla base di un patto di pace tra Francia e Germania che gradualmente assumò la forma dello spazio economico per poi passare ad altri campi.

Ma addirittura la geopolitica determinerà il futuro europeo, quanto l’Europa stessa il suo futuro. Per quanto riguarda i fattori esterni: evidentemente in quanto la Cina è ormai in grado di competere efficacemente con l’economia europea in numerosi settori; in quanto la Cina può ora investire in imprese europee, acquistare infrastrutture e, ovviamente, influenza politica; in quanto l’Europa manca di un orientamento ben preciso e non sa esattamente o non ha ancora deciso, soprattutto Parigi e Berlino, qual è l’Europa che vuole e verso dove vuole andare; in quanto Berlino ha respinto le proposte di Macron per una nuova Europa e allo stesso tempo Europa stessa sta attraversando una crisi senza precedenti dovuta alla Brexit; e poi, in quanto l’euroscetticismo cresce, il che lo vedremo nelle elezioni europee. Insomma, tutti questi fattori, nel loro complesso, influiranno ovviamente sul futuro dell’Europa. Comunque, l’importante è se abbiamo una coerente narrativa per l’Europa che vogliamo. Perchè quando si dispone di una proposta politica ben stabilita, in grado di ispirare cittadini e movimenti, una proposta, in certa misura, realistica, visionaria ma realistica, allora si potrebbe affrontare i rischi in modo più efficace. Quando invece non si dispone di un parere, un orientamento, una proposta ben articolati, si rischia di andare alla deriva, senza poter sostenere qualsiasi politica.

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Nikòlas Zirganos. Riprese al confine tra Giordania e Siria
 
L’instabilità geopolitica nella regione, la guerra commerciale e la competizione economica tra gli Stati Uniti e la Cina  sono secondo lei fattori unificanti o piuttosto divisivi per il progetto europeo?

Vorrei credere che alla fine prevarrà l’istinto di sopravvivenza e questo è ciò che ci manterrà uniti. La Brexit è un’eccezione proprio perché i britannici sono dell’opinione di poter fare meglio da soli. Dubito che abbiano ragione, ma ovviamente questa è una loro decisione. Tuttavia, nell’insieme dei Paesi europei non vedo nessuno che abbia davvero voglia di lasciare l’edificio europeo. Anche se ci lamentiamo, se abbiamo ragione o critichiamo, e malgrado i numerosi aspetti negativi o gli sbagli che bisogna correggere, cambiare o eliminare, nonostante tutto questo, l’edificio europeo rimane attraente nel suo complesso e secondo me in questo momento l’unica via d’ uscita è l’unità.

 

*Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per PuntoGrecia
Traduzione da Stefanos Dimitriadis, Anastasia Kiriakù. 

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