Ecate Vergopoulos è la responsabile di Conferenze e ricercatrice presso il GRIPIC, il gruppo di ricerca interdisciplinare sull’informazione e comunicazione del CELSA, Università Paris IV-Sorbonne. 

Dopo aver espresso i suoi dubbi sulle varie rappresentazioni dell’ alterità , ora si concentra sulla “disforia turistica”,  cioè stanchezza e la noia, o proprio il sentimento di non trovare senso al turismo stesso

Il suo lavoro si concentra particolarmente su questioni legate alla comunicazione del turismo, con un’attenzione particolare sulle costruzioni dell’insolito e della curiosità attraverso i discorsi turistici. 

Ecate Vergopoulos ha presentato le sue idee e le sue ricerche sul  turismo in un colloquio con il team del bollettino francofono del Segretariato Generale per Media e Comunicazione, “Grece Hebdo”

Secondo Vergopoulos, anchè se ci troviamo nell’ era digitale,  sono principalmente i media “classici” che “creano” le tendenze nel settore turistico ed il modo in cui gli stessi testi (e quindi le stesse idee) circolano continuamente sull’Internet. 

La ricercatrice ha fatto l’esempio della Grecia: a causa della copertura mediatica della crisi, il numero dei turisti francesi in Grecia si è abbassato.  

Dal 2011, le cose si sono complicate perché la copertura mediatica della primavera araba è diventata “la causa” di una rinnovata presenza della Grecia sulla “mappa turistica”. 

Nel 2012 le nuove dimostrazioni e rivolte in Grecia hanno contribuito di nuovo alla “caduta” del paese nei top delle preferenze turistiche . Negli ultimi anni, tuttavia, la Grecia non ha smesso di essere presentata negativa dalla stampa. In particolare, il vento favorevole che ha soffiato sulla sinistra europea in generale e quindi anche su Syriza, ha messo fine al “massacro mediatico” del paese. Oggi, la Grecia è diventata di nuovo “frequentabile”, al punto che in certi periodi alcune zone del paese   non possono accogliere il numero troppo alto dei turisti.

Vergopoulos ha anche parlato di vari tipi di turismo, come ad esempio il cosiddetto “turismo d’affari”, “turismo medicale” ,”turismo religioso” oppure turismo “umanitario. 

Secondo la ricercatrice, quando si parla di questo tipo di turismo, non si può mai essere  essere veramente sicuri che ci sia sempre una questione di turismo vero e proprio. “Il turismo nasce dal momento in cui la curiosità è stata considerata come motivo valido per viaggiare- Montaigne è stato uno dei primi pensatori ad aver lasciato tracce scritte proprio su questo argomento. […]”  La ricercatrice si è chiesta inoltre se “sotto questa definizione, possiamo davvero parlare di “turismo” –il cosiddetto “turismo medicale” si riferisce per esempio ad un viaggio all’ estero per motivi medici spesso per sfuggire a varie norme del paese d’origine (come per esempio un aborto o per congelare degli embrioni). La risposta sarebbe positiva in base ai criteri  “oggettivi” che definiscono il turismo (trascorrere almeno una notte fuori dal proprio luogo di residenza), ma la domanda è se una tale risposta non possa favorire solo un approccio prettamente economico, che esalti solo il “peso” dell’industria  del turismo. “Per dirla in altro modo, il turismo è per definizione un’industria”, dice Vergopoulos. 

Passando al soggetto della trasformazione culturale di un paese grazie al turismo, Vergoupolos ha sottolineato che gli antropologi del turismo hanno dimostrato che il turismo può, in determinate circostanze, partecipare ad un processo che esalti l’elemento del “folclore”.

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Nel caso di Montmartre di Parigi per esempio si è  giocata la carta della tipicità di Parigi, trasformando cosi Monmartre in una “riserva di stereotipi” (il povero pittore, il bambino francese in berretto ecc). 

Si tratta del risultato della società del consumo, che consiste nel chiedere “cosa penso che il mio consumatore vuole? Cosa penso sulle sue aspettative ?”. 

L’industria quindi dimostra ai turisti una stranezza già familiare, perché eventualmente scommette sulla “pigrizia cognitiva” dei suoi consumatori: loro consumeranno più facilmente quello che già conoscono. Per un lungo periodo, la ricerca antropologica ha dimostrato che questa visione si scontrava con le varie identità culturali a livello locale; all’ inizio, loro dominavano, per poi finire sostituite dal “folklore” turistico; in alcuni casi, queste identità locali sono anche finite a “difendere e rivendicare” gli stereotipi turistici, dove questo era  necessario. 

Oggi la tendenza è ben diversa. Oggi gli attori locali sanno molto bene come distinguere tra la loro proprie identità e un’ identità di comunicazione e di mercato costruita per “ altri”. A volte, loro arrivano anche al punto di usare simboli e discorsi abbastanza bene per manipolare l’ industria turistica, invece del contrario. 

Comunque, tutti questi approcci sono ovviamente complessi perché ripetono costantemente la storia del dominio dei popoli e degli imperialismi e devono essere sempre riadattati.

L’ ultimo libro di Vergopoulos “L’ indecenza turistica: Come viaggiare nella Grecia della crisi” si occupa di questioni morali, pragmatiche simboliche : “Da dove arriva l’ idea di viaggiare in Grecia oggi? Come si viaggia in un paese che ‘naviga’ nell’ incertezza? Cosa significa essere turisti (quindi consumatori di piacere) in un paese colpito dalla crisi? “. Secondo la ricercatrice, lo scopo del suo lavoro non è quello di proporre soluzioni, ma di dimostrare che spesso il turismo è una pratica che non si mette in discussione o in dubbio. 

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“La crisi ci mette anche di fronte alle nostre contraddizioni come consumatori. Dobbiamo prendere il tempo per identificare queste contraddizioni per capire come agire, ognuno in maniera diversa a seconda del carattere”. 

 

traduzione dal francese: m.a.

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