Il nostro ospite di oggi è il neogrecista Francesco Scalora.
Originario di Palermo, Francesco Scalora si è laureato presso l’Università della sua città natale in Lettere classiche, per poi specializzarsi in Filologia greca, classica, bizantina, medievale e moderna. Nel 2015 ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in Filologia e cultura greco-latina e storia del Mediterraneo antico presso l’Università di Palermo e in Filologia neogreca all’Università di Creta. In seguito, si è trasferito ad Atene, dove ha svolto ricerche postdottorali prevalentemente incentrate sulla storia della Diaspora greca. Accanto alle sue attività scientifiche, durante il suo soggiorno nella capitale greca, si è anche occupato, in qualità di borsista dell’ Accademia di Atene, di traduzione della letteratura neogreca. Attualmente svolge le sue attività di ricerca presso il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova.
Noi l’abbiamo incontrato in occasione del suo libro “Sicilia e Grecia. La presenza della Grecia moderna nella cultura siciliana del XIX secolo”: una presentazione e un’analisi critica e approfondita della ricezione del processo risorgimentale greco da parte della cultura e dell’opinione pubblica siciliana lungo il secolo decimonono. Uscito per i tipi dell’Istituto Siciliano di Studi Bizantini e Neoellenici “B. Lavagnini”, il volume è stato di recente premiato dall’Associazione Europea di Studi Neogreci come migliore monografia da tesi di dottorato pubblicata nel 2018.
In questa intervista* ci racconta come è nato questo libro. Ci parla del fenomeno filellenico nel territorio italiano, delle premesse, delle condizioni e dei motivi che determinarono la sua singolarità rispetto alle analoghe manifestazioni nel resto d’Europa, dei legami e delle reciproche influenze tra i due movimenti nazionali, quello italiano e quello greco, e, naturalmente, del filellenismo siciliano, della sua storia, delle sue espressioni culturali e letterarie, tracciando le affinità e le differenze in relazione alle analoghe manifestazioni sorte nel resto d’Italia.
 
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Il suo libro, di recente pubblicato, “Sicilia e Grecia. La presenza della Grecia moderna nella cultura siciliana del XIX secolo”, da poco premiato dall’Associazione Europea di Studi Neogreci, illustra nei dettagli il fenomeno del filellenismo siciliano attraverso le sue manifestazioni culturali e intellettuali. Quali motivi la spinsero a interessarsi alla storia del filellenismo? Come è nato questo libro?
 
Oggetto inizialmente della mia tesi di dottorato in co-tutela internazionale in “Filologia e cultura greco-latina e storia del Mediterraneo antico” presso l’Università degli Studi di Palermo e l’Università di Creta, questa ricerca prendeva le mosse dalle preziose indicazioni della mia Maestra Renata Lavagnini. Fu lei, infatti, a suggerirmi la presenza di alcuni articoli, pubblicati nella stampa periodica siciliana della prima metà del secolo XIX, che lasciavano intendere un interesse concreto degli ambienti culturali siciliani nei confronti del contemporaneo movimento insurrezionale greco. Del resto, era noto che la prima traduzione italiana del Cours de littérature grecque moderne di Jakovakis Rizos Nerulòs (1778-1850) – che rappresenta sostanzialmente il primo tentativo di una analisi generale della storia della letteratura neogreca – era stata eseguita e pubblicata nel 1842 in Sicilia, a Palermo, dall’abate Benedetto Saverio Terzo. Sulla base di questi primi dati, appariva dunque chiara l’opportunità di eseguire uno spoglio sistematico della stampa periodica siciliana e di pubblicazioni di vario genere, anche le più rare, date alle stampe nell’isola nel corso del secolo XIX, nel tentativo di ricostruire l’interesse dei circoli culturali siciliani non solo per le contemporanee vicende insurrezionali greche ma anche per gli usi, i costumi e la produzione letteraria della Grecia moderna.
Dopo aver conseguito il titolo di Dottore di ricerca, nel 2015, ci sono voluti poi altri tre anni per “confezionare” il libro. In questo arco di tempo, dal 2015 al 2018, mi sono trasferito ad Atene, dove, tra le tante cose, ho continuato le mie ricerche postdottorali prima presso il Dipartimento di Storia dell’Università di Atene e poi presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche con sede nella stessa città. Anni di studio e di ricerca, durante i quali mi sono occupato di Storia della Grecia moderna, specializzandomi quindi in Storia della diaspora greca in Italia (XV-XIX sec.): studi e ricerche che, tra le altre cose, hanno contribuito a dare un’impostazione storica – si spera – più completa e rigorosa a questa pubblicazione.
Ecco dunque che alla fine del 2018 il libro era pronto per essere pubblicato nella collana “Quaderni” dell’Istituto Siciliano di Studi Bizantini e Neoellenici “B. Lavagnini”, il cui presidente, il prof. Vincenzo Rotolo, qui ancora ringrazio.
 
Come nacque e come si inserì il filellenismo italiano nel contesto internazionale del fenomeno filellenico? Quali le affinità e le differenze con quest’ultimo?
 
La Rivoluzione greca del 1821 è stata considerata tradizionalmente e per un lungo periodo come un particolare caso di insurrezione nazionale per l’indipendenza dalla dominazione ottomana, un’insurrezione isolata dall’ondata europea delle rivendicazioni liberali e ad esse collegata principalmente attraverso le espressioni dell’Illuminismo greco. Negli ultimi anni, invece, ci si è sforzati di rileggere la portata di quella esperienza come un fenomeno europeo dal carattere internazionale. Secondo questa prospettiva, il caso greco è stato inserito e valutato all’interno di una dimensione cosmopolita caratterizzata da una articolata e convergente rete transnazionale di circolazione e di comunicazione dell’ideologia e dell’azione rivoluzionaria. Lo storico Maurizio Isabella, a tal proposito, nel suo libro “Risorgimento in Esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni” (Laterza 2011), parla di una «internazionale liberale», animata dall’esperienza formativa dell’esilio nei termini di un processo intellettuale in continuo dialogo con altri modelli e altre culture europee e non.
Il sentimento di “simpatia”, che coinvolse l’Italia in preparazione e durante l’evoluzione dei fatti rivoluzionari greci, non rappresentò un’espressione di solidarietà circoscrivibile alla sola realtà politica e culturale italiana, ma riguardò, come è noto, l’intera Europa. Partendo dall’ammirazione per quei valori legati alla storia, al pensiero e alla produzione letteraria e artistica della civiltà greca antica e classica, l’attenzione nei confronti del mondo greco moderno, già a partire dalla seconda metà del secolo XVIII, si concretizzò in una solidarietà etica, politica e culturale, verso le lotte per la riconquista della libertà e dell’indipendenza nazionale di quel popolo che, a buon diritto, veniva percepito e considerato come il naturale, seppur sopito, erede di quello passato. All’interno di questo fenomeno paneuropeo, che attraversò come una lunga esplosione tutto l’Ottocento, l’Italia, per ragioni legate alla sua storia, alla sua posizione geografica e alla sua realtà politica, si distinse per una valenza e una partecipazione diversa, forse più sofferta e radicata.
Di ciò sono testimoni le manifestazioni del fenomeno filellenico stesso, che, indebolitosi nella restante Europa già alla fine della prima metà dell’Ottocento, in linea anche con l’affievolimento dell’ondata romantica, registrò, invece, nel territorio italiano una singolare durata e intensità. I contributi di amicizia e di solidarietà ai moti per il completamento dell’unità nazionale greca, sorti nel territorio italiano fino allo scorcio del secolo decimonono, sono la prova di questo legame speciale tra i due paesi.
 
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“Il piemontese Santarosa muore nella micidiale giornata di Sfacteria” (1864). Litografia.di Gabriele Castagnola (1828-1883)/Fonte:Wikimedia Commons
 
Invero, l’idea che i due paesi fossero accomunati e legati da un rapporto speciale, da un’affinità culturale, storica e politica, finalizzata a un processo di rigenerazione nazionale, all’interno di un contesto inizialmente mediterraneo o specificamente meridionale, e poi largamente europeo, non nacque in occasione dei fatti rivoluzionari di inizio Ottocento. Una serie di fattori, apparentemente estranei a questo sentire maturamente nazionale, a mio avviso concorsero nel tempo alla creazione delle condizioni necessarie per l’elaborazione di questo singolare legame tra i due paesi. Non possiamo qui elencarli tutti. È sufficiente ricordare che il patriottismo greco, l’idea di nazione, come anche la prima formulazione del Risorgimento greco, devono molto alla presenza di personalità greche che a vario titolo soggiornarono nel territorio italiano nei decenni precedenti la rivoluzione. Alcuni di loro, facendo ritorno in patria, portarono con sé e diffusero le loro idee di libertà e di progresso, sperimentando forme e percezioni di un’identità nazionale in divenire. Queste idee di rinnovamento incontrarono un largo appoggio non solo tra gli strati più umili della società greca ma anche e soprattutto fra i giovani intellettuali.
Notevole, infine, per quanto riguarda il rapporto singolare tra i due paesi, fu il ruolo delle comunità greche storicamente sparse in tutto il territorio italiano (Messina, Napoli, Livorno, Trieste, Venezia, per non citarne che alcune). In queste città nacquero e maturarono i fermenti intellettuali che contribuirono in modo incisivo al rinascimento nazionale greco nei decenni immediatamente precedenti la rivoluzione del 1821. L’interazione che si venne a creare tra le due componenti cittadine, italiana e greca, in relazione con l’antichità di ogni insediamento e la relativa stratificazione cittadina e sociale, registrò nei secoli e negli anni preparatori alle imprese insurrezionali di inizio Ottocento proficui momenti di scambio e di collaborazione.
Ecco, dunque, che la causa nazionale greca non si presentava all’opinione pubblica italiana come un avvenimento maturato in un contesto ignoto. Di Grecia in Italia si sapeva, si parlava, si scriveva e si leggeva già prima dei moti rivoluzionari del ’21.
 
Esistono legami tra l’esperienza filellenica e il processo risorgimentale italiano?
 
Nel 1985, Antonis Liakos, ora docente emerito di Storia presso l’Università di Atene, pubblicava un libro dal titolo “L’Unificazione italiana e la Grande Idea” (trad. it.: 1995). Uno studio fondamentale che racconta la storia dei rapporti tra l’Italia e la Grecia nel decennio 1859-1871, negli anni cioè della formazione dei due paesi come Stati nazionali. Questo processo di definizione e di autodeterminazione, tortuoso e in parte controverso, in Italia, come è noto, assunse il nome di Risorgimento, in Grecia invece si chiamò Megali Idea: un’Idea grande, per l’appunto, che, formulata ufficialmente nel 1844, sancì l’inizio delle politiche irredentiste greche, perseguendo l’affrancamento di tutti i Greci ancora sotto l’Impero ottomano nei confini di uno Stato unitario.
Si trattò per quanto riguarda il caso italo-greco, di un flusso di idee, parallele ma differenti, irrobustite da forze eterogenee il più delle volte a stretto contatto; idee che animarono la mente e l’animo dei protagonisti dei due movimenti nazionali sino al tramonto del secolo XIX, dimostrandone la reciproca influenza e la relativa interdipendenza, ed insieme la scarsa solidità delle nuove realtà nazionali.
I patrioti italiani aderirono e parteciparono attivamente ai movimenti politico-culturali dell’epoca, come dicevamo, nell’ambito di una dimensione patriottica transnazionale. Limitatamente al caso italo-greco vi era poi la convinzione secondo la quale i due popoli, quello greco e quello italiano, eredi rispettivamente di un passato glorioso, accomunati da un medesimo destino, una volta ottenuta l’indipendenza politica, avrebbero rivitalizzato la loro gloria antica, rinverdendo i fasti di un passato lontano, quello greco e quello romano, rispettivamente. Secondo questa prospettiva, una volta inseritisi dignitosamente all’interno dell’avanzato contesto europeo, avrebbero assunto un ruolo di primaria importanza nell’intero scenario mediterraneo. Le manifestazioni filelleniche italiane, dunque, meritano una contestualizzazione più precisa e vanno valutate anche in vista dei legami speciali che intercorrono tra il patriottismo italiano e quello greco.
In virtù di questo particolare legame tra i due paesi, che supera abbondantemente lo spirito romantico dei primi decenni del secolo XIX, e che appare scandito da momenti di reciproca solidarietà, vanno valutate, ad esempio, le manifestazioni filelleniche italiane sorte nella seconda metà del secolo, che rendono singolare, se non unico il caso italiano. Una tradizione consolidata, quindi, quella del filellenismo italiano, tempestivamente rispolverata e pronta agli usi più diversi; un atteggiamento culturale rafforzato nel tempo da una serie di fattori politici e culturali del tutto autonomi rispetto all’ideologia iniziale, e costretto, dunque, negli anni, come lucidamente afferma lo storico Francesco Guida, in una posizione non egemonica, ma culturalmente complementare.
 
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“ …le manifestazioni filelleniche italiane sorte nella seconda metà del secolo, che rendono singolare, se non unico il caso italiano”. Foto: Forte di Arta (Grecia) e Garibaldini. La spedizione dei Garibaldini fu allestita dal figlio di Garibaldi, Ricciotti, durante il conflitto greco-ottomano del 1897/Fonte: Wikimedia Commons
 
Ci vuole dare un quadro sintetico della storia del filellenismo siciliano? Sotto quali aspetti si manifestò il movimento di solidarietà nei confronti dei greci? Quali le tappe fondamentali e i momenti decisivi per il fenomeno filellenico siciliano? Quali le particolarità del movimento filellenico siciliano rispetto alle analoghe manifestazioni nel resto d’Italia?
 
Il movimento filellenico siciliano rappresenta una espressione regionale, ma non per questo minore e meno importante, dell’articolato interesse italiano nei confronti delle contemporanee vicende storiche greche. Le condizioni politiche e culturali dell’isola nella prima metà del secolo XIX determinarono la singolarità di questo fenomeno.
Le manifestazioni del movimento filellenico siciliano furono molteplici e varie. Esse ricalcarono nelle linee generali le espressioni di solidarietà e le mode filelleniche sorte nel resto d’Italia.
La Sicilia seguì sin dagli inizi l’evoluzione degli eventi storici greci con un profondo sentimento di compartecipazione. Alla adesione attiva ai fatti rivoluzionari greci, alle spedizioni di volontari che a più riprese, più o meno consapevolmente, si recarono a combattere in territorio greco, delineando quel fenomeno a tutti noto con il nome di filellenismo, si associò ben presto, se non parallelamente, una affine manifestazione di “simpatia” e di solidarietà di stampo letterario, che del fenomeno filellenico costituisce una vigorosa appendice. Una mania letteraria, più che una moda, che impegnò con passione quasi febbrile i dotti e i poeti siciliani dell’epoca. L’eco provocata dal rumore delle fortune guerresche di Grecia trovò una concretizzazione nelle pubblicazioni di quegli anni, lasciando un numero considerevole di scritti in versi e in prosa dedicati alla Grecia moderna, che nel mio libro vengono esaminati in maniera estesa e sistematica.
 
Immagine 5 ode corso collage A sinistra: il frontespizio del “Corso di letteratura greca moderna” di Jakovakis Rizos Nerulòs (1778-1850) edita a Palermo nel 1842. A destra: Alcune strofe del componimento di Giuseppe Ruffo de Spucches, dal titolo “Costantino Canaris”, pubblicato nel periodico “Il Siciliano”, ΙΙ. 11 (1838), p. 13./Per gentile concessione di Francesco Scalora.
 
Inferiore nei numeri ma non meno per fattura e apprezzamento fu poi la produzione artistica. Notevole, ad esempio, fu il successo del gruppo marmoreo i “Fratelli Canaris” dello scultore palermitano di fama internazionale Benedetto Civiletti. Esposto per la prima volta presso l’Esposizione Universale di Vienna nel 1873, il gruppo marmoreo è oggi conservato presso il Giardino Inglese del capoluogo siciliano.
Le tappe del fenomeno filellenico siciliano, nella sua dimensione regionale prima, come in quella nazionale dopo, coincidono con le fasi e i momenti che scandirono il fenomeno italiano, e vanno a coprire l’intero secolo XIX: dal 1821 sino ai moti insurrezionali cretesi del 1896, sfociati poi nel conflitto greco-ottomano del 1897. La Sicilia e i circoli culturali dell’epoca partecipano puntualmente a tutti questi momenti di solidarietà, distinguendosi per la mole e l’originalità delle sue manifestazioni.
Nel mio libro mi occupo principalmente di letteratura filellenica siciliana. È dunque possibile valutare affinità e differenze rispetto al fenomeno italiano, proprio attraverso l’analisi di questa vasta produzione letteraria.
La letteratura filellenica siciliana, in quanto espressione regionale di un fenomeno nazionale, come dicevamo, merita di essere contestualizzata nella società e nella politica della Sicilia del secolo decimonono, per poi essere messa in relazione con le analoghe manifestazioni letterarie sorte nel resto d’Italia. Tante sono le affinità quante le differenze. La letteratura filellenica italiana, che si distingue per la sua durata e la sua intensità, riflette nelle sue pagine gli approcci diversi e i vari orientamenti che animarono il percorso verso la formazione dello Stato italiano e della relativa idea di nazione, se pure in una società ancora politicamente divisa e non unita, ma ideologicamente accomunata dalla convergenza delle idee liberali e di riscatto nazionale. In tal senso, quanto succedeva in territorio greco, anche nella sua immaturità, rappresentava il laboratorio, nel quale sperimentare, in seguito ai primi fallimenti insurrezionali piemontesi e napoletani (1820-1821), un’idea di lotta comune di carattere risorgimentale, in chiave principalmente antiaustriaca.
La singolarità del fenomeno siciliano si distingue principalmente per la specificità della condizione politica dell’isola e per la sua posizione generalmente antiborbonica e particolarmente antipartenopea. In quest’ottica, ad esempio, la valenza del concetto di patria, nella cultura siciliana di inizio Ottocento, deve essere connotata entro margini di carattere autonomistico, non unitario, e di certo non ancora nazionale. Allorché, dunque, nella produzione poetica siciliana di ispirazione filellenica si incontra il termine “patria” o il termine “straniero”, in relazione al sentimento antiborbonico, conviene individuare in quel motivo l’astio dell’aristocrazia palermitana – in buona parte i poeti filellenici sono tutti nobili – nei confronti del centralismo e dell’autoritarismo napoletano. In questi versi, dunque, lo “straniero Turco” diventerà un pretesto per poter esprimere l’intolleranza dell’ingerenza partenopea nelle vicende politiche siciliane, l’avversione verso i tentativi di soffocamento delle aspirazioni autonomistiche isolane, nonché dei privilegi baronali radicati in quella realtà, lì dove invece l’italiano condanna l’occupazione austriaca.
Infine – piace sottolinearlo – un’attenzione particolare nel mio libro è dedicata al ruolo svolto dagli ambienti colti delle colonie greco-albanesi di Sicilia, i quali esercitarono un’azione determinante nella formazione della moderna cultura albanese, e insieme, in virtù dello storico rapporto con la grecità e con la religiosità ortodossa, poterono farsi tramite diretto di conoscenze, anche grazie a personalità emergenti negli studi di greco. I dotti siculo-albanesi seguirono con particolare attenzione le vicende insurrezionali greche, trasferendosi idealmente nelle vicissitudini di quel popolo, nella speranza che il movimento risorgimentale greco riuscisse a coinvolgere in qualche modo anche le sorti della vicina gente albanese.
 
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Monumento ai fratelli Canaris, scolpito da Benedetto Civiletti (1845-1899), Giardino inglese, Palermo/Fonte: Wikimedia Commons.
 
In quali città siciliane si riscontra una notevole attività filellenica?
 
Palermo e Messina, ma con qualche differenza. Il centralismo palermitano, l’attaccamento ai privilegi feudali, le aspirazioni baronali all’autonomia regionale, lo spiccato sentimento antiborbonico e antinapoletano, e un tardo sentimento di riscossa nazionale costituiscono, infatti, un motivo di differenza rispetto ai freschi e attivi circoli culturali messinesi. Un esame attento della produzione raccolta offre in entrambi i casi la possibilità di valutare affinità e differenze nell’approccio delle due realtà alle tematiche in questione.
Punto di raccordo tra la Sicilia e l’Italia, la città dello Stretto, più borghese nelle sue vesti sociali e più sensibile alle temperie culturali europee e italiane, filtra ed elabora con maggiore vivacità le novità culturali dell’epoca. Al centralismo palermitano essa si oppone e risponde con i suoi slanci e le sue aspirazioni nazionali. Ne risulta una poesia concreta e vivace, più dinamica, anche perché in sintonia con la nuova tendenza romantica e distante dal classicismo e dalla retorica pedanteria palermitana. Inoltre, Messina, forte anche della sua posizione portuale e della secolare presenza greca in città, segue e rispetta, forse in maniera più sentita, rispetto ad ogni altra realtà siciliana, il ritmo cadenzato della solidarietà tra le due realtà, quella locale e quella greca intendo.
Catania, altro centro siciliano, all’epoca particolarmente attivo, nel mio studio non emerge sufficientemente. La sua produzione poetica d’ispirazione filellenica, nonché la presenza della Grecia moderna nella pubblicistica dell’epoca, o almeno quella da me intercettata, si limita nell’ambito della produzione letteraria alla sola attività di Mario Rapisardi (1844-1912). È mia intenzione tuttavia sondare nuovamente la realtà catanese con maggiore attenzione. Lo stesso vale per Siracusa. La produzione di periodici e giornali che circolano durante tutto il XIX secolo nel territorio siracusano dà l’idea di una fervente attività editoriale e culturale che merita di essere attentamente esaminata in rapporto all’argomento trattato nel mio libro.
 
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Il numero unico del giornale “Pro Candia”, pubblicato in occasione dei nuovi moti cretesi (1895-1896) nell’ottobre 1896 a Messina con l’obiettivo dichiarato di sostenere con i proventi gli insorti cretesi/Per gentile concessione di Francesco Scalora.  
 
Come viene rappresentata la Grecia dell’epoca nei testi dei dotti filelleni siciliani? Cosa simboleggia essa per loro? Quali furono le premesse, i motivi ricorrenti e i temi portanti del discorso filellenico?
 
L’esperienza rivoluzionaria greca diventò un esempio di rivolta da seguire. La dominazione ottomana dalla quale la Grecia si era in parte liberata simboleggiava quella borbonica dalla quale la Sicilia doveva ancora liberarsi. L’idea di patria che compare nei versi dei filelleni siciliani, in parte concretizzatasi nel piccolo Regno greco, corrisponde dunque a quella necessità di autonomia regionale tanto desiderata dalla classe dirigente siciliana. Secondo questa prospettiva, si registra una certa divergenza rispetto alla contemporanea produzione letteraria filellenica italiana, dove il binomio Italia-Grecia risuona sin dall’inizio amplificato nella sua eco di rigenerazione nazionale.
Dicevamo poi delle premesse. Come per il resto d’Italia, ma dell’Europa direi, la tradizione filologica di fine Settecento fu alla base delle prime manifestazioni di curiosità e di attenzione verso un’indefinita grecità moderna, percepita come erede, nelle sue reliquie archeologiche e nella sua lingua, di un passato glorioso.
In Sicilia, la tradizione degli studi classici si sviluppò in rapporto al generale ritardo e alla discutibile depressione in cui versava la cultura siciliana. Non per questo però essa fu meno originale, dal momento che si prefisse di rispolverare, tradurre e commentare i testi della letteratura greca antica, composti da autori dell’allora Sicilia antica, nel tentativo di dimostrare un’identità prettamente greca dell’isola. I dotti siciliani, trattati nel mio libro, non smisero mai di rivolgere il loro pensiero alla Sicilia greca. In Sicilia come anche a Napoli, l’insistenza sulla specifica origine greca delle popolazioni meridionali venne utile per legittimare nei termini di una specifica nazionalità il nuovo ordine statuale. I riferimenti ripetuti e convinti al legame storico-culturale tra la civiltà greca, pensata nella sua continuità, e la Sicilia, oltre a concorrere alla costruzione della nuova sensibilità culturale (e presto politica) dell’Italia di primo Ottocento, predisposero un terreno fecondo per le molteplici manifestazioni di natura filellenica che nel mio libro vengono esaminate.
Tra le premesse, infine, piace ricordare, all’interno della ricca letteratura odeporica di matrice filellenica dell’epoca, un’importante manifestazione siciliana in merito. Parliamo di Saverio Scrofani, che con il suo Viaggio in Grecia (1799) si inserisce con successo all’interno di questa affascinante tendenza letteraria. Scrofani offre al lettore i dati necessari per poter valutare la reale condizione socio-economica del territorio greco, e della Morea in particolare, in epoca prerivoluzionaria, delineando, tra le altre cose, se pure con qualche pregiudizio, l’immagine di una terra che del prestigio antico, dopo quattro secoli di dominazione ottomana, conservava l’ombra dei suoi resti, a fatica schiarita dall’ardore e dalla volontà di riscatto dei suoi abitanti.
Fu dunque vario, costante e ricco l’interesse siciliano nei confronti della Grecia insorta.
 
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“…la tradizione filologica di fine Settecento fu alla base delle prime manifestazioni di curiosità e di attenzione verso un’indefinita grecità moderna, percepita come erede, nelle sue reliquie archeologiche e nella sua lingua, di un passato glorioso.”/Immagine: Ludovico Lipparini (1800-1856). “Un Suliotto che riflette sulla desolazione della patria” (1838), Cipro, collezione arcivescovile
 
Si può parlare di un’eredità del filellenismo? E’ possibile, secondo lei, avvistare ancora oggi in Italia, all’interno del dibattito pubblico sulla Grecia, temi, argomenti e assunti direttamente riconducibili all’esperienza filellenica ottocentesca?
 
Non credo si possa parlare di una eredità del filellenismo. Non esistono le condizioni politiche e culturali che permetterebbero la riproposizione come anche il funzionamento di un determinato fenomeno animato da una compartecipazione ideologica ben precisa, frutto tra le altre cose di un periodo storico di per sé irripetibile.
La storia non si ripete, anche se, come affermava Mark Twain, qualche volta fa rima con se stessa. Avrebbe dunque un senso interrogarsi sul significato di queste rime relativamente al caso greco, una volta scansata l’ossessione di vedere nel passato nient’altro che gli infiniti riflessi dei timori presenti. Sarebbe utile cercare di comprendere cosa significhino queste rime limitatamente al singolare fenomeno di simpatia che in più modi e in più forme continua ancora oggi a segnare l’opinione pubblica internazionale in riferimento alla Grecia.
Si possono intravedere, come lei giustamente fa notare, dei tropoi condivisi nel percepire l’eredità greca come fondamento della cultura e del pensiero occidentale: un argomento, questo, del resto ben noto già all’inizio del secolo XIX a quanti si interrogavano su quale fosse il ruolo e il posto della Grecia moderna nella formazione della nuova coscienza politica e culturale europea. Una riflessione allora come ora ancora attuale, se si considera, ad esempio, il dibattito controverso e acceso sorto in merito alla nota questione della attuale crisi greca, che negli ultimi anni ha interessato in più modi e a più livelli l’opinione pubblica europea e mondiale. Essa, infatti, non ha rappresentato e non rappresenta solamente una questione nazionale greca. È evidente che quanto successo in Grecia, oltre a segnare drammaticamente la fisionomia sociale, politica ed economica della nazione ellenica, ha scosso nel profondo la coscienza europea, mettendo in discussione l’identità politica e culturale dell’Europa stessa. La Grecia, dunque, ha costituito un motivo di confronto in merito alla condizione presente e alle prospettive future dell’Unione, portando alla luce dubbi, aspettative e richieste di cambiamento rispetto alle scelte politiche ed economiche che nell’ultimo decennio hanno caratterizzato il suo percorso. La stessa cosa, mutatis mutandis, succedeva del resto all’inizio del secolo XIX.
All’interno di questo atteggiamento, la Grecia (con i rimandi al suo glorioso passato pensato in relazione alle sfide del presente) sembra detenere una funzione culturalmente complementare capace ancora oggi di creare, al di fuori dei suoi confini, uno spazio ideale e simbolico di riferimento ampiamente condiviso. Per quanto ai pochi questa larga idea di Grecia possa risultare stretta, forse anche perché appesantita da quella retorica che in alcuni momenti di questo nostro incontro si è più volte segnalata, essa racchiude l’indiscutibile e sincera riconoscenza del pensiero occidentale nei confronti di una civiltà che tra continuità, rottura e trasformazione onora religiosamente l’eredità del proprio glorioso passato, se pure provata dalle difficili sfide del presente.
 
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“È evidente che quanto successo in Grecia, oltre a segnare drammaticamente la fisionomia sociale, politica ed economica della nazione ellenica, ha scosso nel profondo la coscienza europea, mettendo in discussione l’identità politica e culturale dell’Europa stessa”./Immagine: Mitrakas Yiannis (1936-). “Europa tra cielo e mare”, Fonte: nikias.gr
Adesso che il libro è stato pubblicato, quali i suoi futuri progetti?
 
Dal mese di aprile sono assegnista di ricerca presso il Dipartimento dei Beni Culturali dell’Università di Padova, dove porto avanti un progetto di ricerca dal titolo “Padova: la prima Università dell’Ellenismo moderno (1453-1830)”.
Prefiggendosi di approfondire l’attività educativa, intellettuale e accademica della presenza di una nutrita componente greca e cipriota nello Studio patavino, la ricerca si pone l’obiettivo di investigare l’importanza della formazione che numerosi studenti ricevettero nell’Università della città. La presenza degli studenti e dei professori greci e ciprioti a Padova, oltre ad avere un impatto significativo nell’ambiente culturale locale, ebbe anche un ruolo straordinario nella formazione della coscienza culturale e politica dei protagonisti. Padova rappresentò il luogo privilegiato per lo sviluppo di questa coscienza, lungo un arco temporale compreso tra due date focali per l’Ellenismo moderno: la caduta di Costantinopoli per mano ottomana, con la conseguente e definitiva dissoluzione dell’Impero bizantino, e la fondazione del nuovo Regno greco.
L’ampiezza, la consistenza e il significato di questa considerevole presenza greca a Padova fino ad ora non sono stati ancora rilevati nei dovuti termini. Scopo della mia ricerca è quello di portare alla luce il contributo importantissimo offerto dall’Università di Padova, attraverso l’educazione e la formazione universitaria, al rinascimento culturale e all’emancipazione politica del popolo greco, e per suo tramite dell’Oriente ortodosso.
Nella buona riuscita di questa impresa, confesso di essere in qualche modo incoraggiato anche da due felici anniversari: nel 2021, la Grecia si prepara a festeggiare i duecento anni dall’inizio della Rivoluzione greca, riservando tra le tante cose una particolare attenzione al contributo significativo dato dai Greci della diaspora alla maturazione culturale e alla preparazione politica di quell’importante avvenimento storico; nel 2022 l’Università di Padova, invece, si prepara a celebrare i suoi otto secoli di vita e di attività.
Possano al contempo servire di sprone questi due importanti anniversari alla realizzazione di ricerche future, con lo scopo anche di rafforzare, qualora ce ne fosse bisogno, il legame secolare tra l’Italia e la Grecia.
 
 
*Intervista accordata a Stefanos Dimitriadis per “Punto Grecia”.
 

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