I rapporti millenari intrattenuti tra le due regioni che, separate dal mare, appartengono oggidì al territorio dell’Italia e della Grecia, non potevano che influire sull’evoluzione delle due lingue, l’italiano e il greco. Fin dall’antichità, la vicinanza geografica diede origine all’instaurarsi di una fitta rete di scambi commerciali e culturali tra queste due sponde del Mediterraneo e fece spesso incrociare i percorsi storici delle due regioni. Dalla colonizzazione della Magna Grecia da parte dei greci al “Graecia capta” dei romani e dai possedimenti dell’Impero bizantino nella penisola italiana al plurisecolare dominio veneziano su gran parte del Mediterraneo orientale e dell’odierna Grecia, ma anche in seguito, sono tanti gli esempi e lunghi i periodi in cui le popolazioni delle due aree geografiche furono unite sotto la stessa bandiera e accomunate dal medesimo destino politico.
Questi fattori ambientali ed extralinguistici, come spesso avviene, hanno lasciato le loro impronte sul corpo delle due lingue che nell’arco dei secoli si compenetrarono e si infuenzarono a vicenda. In effetti, seppur molto diverse dal punto di vista morfologico, fonetico e sintattico, l’italiano e il greco presentano un forte influsso reciproco: è il caso dei grecismi in italiano e degli italianismi in neogreco. Queste interferenze, date le sopra menzionate differenze tra le due lingue, riguardano piuttosto il vocabolario ove, in entrambe le lingue, si riscontra un cospicuo contingente di parole provenienti dall’altra. Secondo il Grande dizionario dell’uso di Tullio De Mauro, una su trenta parole del vocabolario italiano contemporaneo è di origine greca. Delle quali quasi la metà arrivate senza il tramite del latino. Per quanto riguarda il greco moderno, invece, secondo le valutazioni della professoressa Domenica Minniti Gònias le parole di origine italiana costituirebbero il 17% del lessico del greco comune. Queste parole, i cosiddetti “prestiti” in campo linguistico, sono preziosi testimoni dell’evoluzione dei rapporti italo-ellenici, riflessi linguistici che ci permettono di rintracciare e ripercorrere la storia delle interazioni e degli scambi culturali fra i due popoli.
Tali legami e relazioni si possono intravedere anche nel percorso interlinguistico di una parola come “τέλος” (tèlos), poco produttivo in questo senso, ma non per questo meno rappresentativo. Di etimologia incerta, “τέλος” è una parola comunemente e frequentemente usata nel parlato quotidiano greco. Fin dall’antichità, la parola presenta tre accezioni diverse: quella di “compimento, fine, termine”, quella di “fine, scopo, obiettivo” e quella di “imposta, tributo”.
Nonostante il primo filone semantico della parola, quello di “τέλος” come termine e compimento, risulti il più prolifico per quantità di derivati nella lingua greca al giorno d’oggi, la sua presenza etimologica fuori dal greco, e nell’italiano per l’appunto, si limita a un insieme di parole poco frequentate e quasi tutte appartenenti al linguaggio tecnico-scientifico. Si tratta perlopiù di parole composte della terminologia della Biologia e della Fisiologia, di cui telos costituisce la radice del primo o del secondo elemento, p. es. protetelia, distelia, telediastole ecc. Vocaboli come questi e altri appartenenti alla terminologia specialistica delle scienze e della tecnica sono stati formati modernamente in seguito alla diffusione dello studio del greco antico e della filosofia classica greca nel periodo rinascimentale-umanistico, quando con la nascita delle scienze moderne tra Seicento e Settecento prevalse fra i dotti e gli scienziati la tendenza a plasmare i nuovi termini su modello greco.
Di registro diverso, invece, sono due vocaboli del lessico greco che traggono la loro origine dalla parola che in italiano esprime il medesimo concetto con “τέλος” nel senso di termine, punto ultimo: la parola “fine” e i termini che con essa condividono la stessa radice etimologica. Si tratta delle parole “φινάλε” (“finale”) e “φινίρισμα” (“finìrisma”) che riguardano due campi lessicali preferenziali per gli italianismi del neogreco: quello della terminologia artistica e quello della vita materiale e dell’artigianato. La parola φινάλε<finale è uno dei tanti termini artistici introdotti dall’italiano nel neogreco, come peraltro in altre lingue europee, per via del prestigio che circondava la cultura italiana dal Rinascimento in poi. Il termine, appunto, si usava, e si usa tuttora, per designare “la parte ultima di un’opera teatrale o musicale”, ma col tempo passò a indicare anche “la spettacolare e impressionante fine di qualcosa” o più generalmente ogni “fase o esito finale di un’azione” diventando così un sinonimo di “τέλος”.
“Il Gran Finale” (Το Μεγάλο Φινάλε), un fumetto del famoso disegnatore, fumettista e vignettista satirico greco Arkàs (Αρκάς)
A differenza di “φινάλε”, la parola “φινίρισμα” rappresenta un prestito di carattere più intimo, appartenente all’ambito del vocabolario tecnico-materiale. Il termine che viene dal verbo italiano “finire” fu adattato e ellenizzato con l’aggiunta del suffisso “-ίσμα”, con cui spesso si formano nel greco moderno sostantivi che indicano l’azione espressa dal verbo da cui derivano o il risultato di tale azione, e con esso si intende proprio l’ultima fase nella fabbricazione o lavorazione di un prodotto (industriale o artigianale), vale a dire la sua “finitura”.
Per quanto indirettamente, alla parola τέλος nel suo primo significato, però, è legato anche il “talismano”. Importato nella lingua italiana dal persiano, il “talismano” proviene dalla parola “tilismān”, plurale di “tilism”, che trae la sua origine dal sostantivo del greco “τέλεσμα” (télesma), il quale aveva tra l’altro il significato di “rito (religioso)” essendo un derivato del verbo τελέω (teléo)<τέλος nel senso di compiere, celebrare un rito religioso.
Tuttavia, è nel suo secondo significato, quello di “fine, scopo, obiettivo”, che la parola “τέλος” (tèlos) si utilizza come tale anche in altre lingue fuori dal greco. Termine cardine del pensiero greco antico, “τέλος” si riscontra in questa sua accezione, appunto, quasi esclusivamente in testi filosofici specialistici perfino nel neogreco standard, ove la parola ha ormai perso questo suo significato. Restando sempre in ambito filosofico, da qui derivano anche altri due termini presenti nel vocabolario italiano. Si tratta delle parole “entelechia” (εντελέχεια) e “teleologia” (τελεολογία). Composta dai vocaboli ἐν (in), τέλος (fine) e ἒχειν (avere), la parola “entelechia”, passata alle lingue romanze attraverso il latino, fu ideata da Aristotele per indicare una realtà che ha il suo fine in sé stessa, qualcosa che secondo questa “finalità interiore” ha raggiunto sua meta finale, lo stato di compimento e perfezione del suo evolversi. Con “teleologia”, invece, si intende ogni teoria filosofica a cui fondamento sta una concezione finalistica del mondo, e secondo la quale la realtà rappresenta un sistema organizzato in vista di un fine ultimo a cui tende. Nonostante la visione teleologica del mondo non fosse affatto estranea alla maggior parte dei filosofi dell’antichità, il termine stesso è di conio recente e costituisce uno di quei neologismi che sono stati formati in età moderna sulla base del greco. Composto dai vocaboli “τέλος”, fine, e “λόγος” (lógos), discorso, pensiero, il termine infatti apparve per la prima volta nell’opera di Christian Wolff “Philosophia rationalis, sive Logica” (1728), introdotto e usato dal filosofo tedesco per definire “quella parte della filosofia naturale che spiega i fini delle cose”.
Aristotele, Kant e Hegel: massimi esponenti del pensiero teleologico attraverso i secoli/Fonte: Wikimedia Commons
Analogo è stato, infine, anche il percorso etimologico della parola del lessico italiano che trae la sua origine dall’ultimo significato di “τέλος”. Si tratta del neologismo “filatelia”, apparso per la prima volta in un articolo del francese Gustave Herpin, intitolato “Baptême” (Battesimo) e pubblicato nel 1864 nella rivista “Le collectionneur de timbres-poste”. Visto che la primaria funzione dei francobolli (come si evince anche dall’etimologia della parola in italiano) era quella di liberare il destinatario dalle spese postali, Herpin coniò il termine “philatélie”, un termine composto appunto dai vocaboli greci «φίλος» (filos), amante, e «ατέλεια» (atelia), franchigia, parola a sua volta composta dall’alfa privativo greco e τέλος nel senso di imposta, tributo. Sua intenzione era quella di dar un nuovo nome alla neonata e rapidamente diffusa attività di collezionare francobolli (il primo francobollo, il celebre “Penny Black”, fu emmesso nel Regno Unito nel 1840, Francia emise il suo primo francobollo nel 1849, Grecia nel 1861, mentre il primo francobollo in Italia fu emesso dal Regno Lombardo-Veneto nel 1850).
A sinistra: il pezzo da 5 c. della prima serie di francobolli stampata in Grecia (1861) con la testa di Ermes. A destra: il valore da 15 c. (1863), con l’effigie di Vittorio Emanuele II, il primo francobollo postunitario a portare la dicitura “francobollo italiano”/Fonte: Wikimedia Commons
Herpin, dunque, propose il termine “philatélie” perché lo considerava, per via delle sue radici greche, più adatto all’uso internazionale rispetto agli altri termini francesi d’uso all’epoca (timbrologie, timbrophilie, timbromanie), nonché assolutamente preferibile, secondo lui, dall’inaccettabile e peggiorativo termine “timbromanie”. Quindi la parola si diffuse e entrò a far parte del lessico di molte altre lingue prendendo la forma di “filatelia” in italiano, spagnolo e portoghese, “philately” in inglese, “Philatelie” in tedesco, e «φιλοτελισμός»<philatélisme, philatélie in greco.
Fonti di informazione:
Minniti Gònias, D. (2018). Italoellenica A’: Studi sul prestito lessicale. Ed. Grigori, Atene.
Λεξικό της Κοινή Νεοελληνικής (Τριανταφυλλίδη) – (Triantafillidis online: Dizionario della lingua neogreca)
s.d.
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