In una sala della Galleria Estense a Modena è esposto un altarolo portatile dipinto su entrambi i lati e raffigurante sei episodi della Bibbia. Noto ormai come il “Trittico di Modena”, lo splendido altarolo devozionale porta sul pannello centrale posteriore la firma “ΧΕΙΡ ΔΟΜΗΝΙΚΟΥ” -ossia, “mano di Domenico” in greco- e nel 1937 è stato attribuito dallo storico dell’arte Rodolfo Pallucchini a Domínikos Theotokópoulos, detto “El Greco”. Quest’assegnazione, non poco controversa in seguito, è oggi considerata dalla maggior parte degli studiosi attendibile. L’opera, databile intorno al 1568, risale alla produzione giovanile e al periodo italiano dell’artista, ed è una delle pochissime opere firmate e sopravvissute dal soggiorno di El Greco a Venezia. In bilico tra il periodo cretese e quello italiano dell’artista, il “Trittico di Modena” è ritenuto importante perché segna il momento del distacco del pittore –dell’allontanamento e non dell’abbandono totale secondo alcuni– dalle tecniche ed i valori della tradizione bizantina per assimilarne pienamente quelli dell’arte occidentale e veneziana, trasformandoli in uno stile del tutto personale. 

Il lato posteriore del Trittico di Modena/ Fonte: Wikimedia Commons

Sparsi, invece, in vari luoghi e siti della Laguna ma anche in altre località dell’entroterra veneto e non solo, si trovano i dipinti di un altro pittore di origine greca, anche lui trasferitosi in quegli anni nella città dei Dogi. Si tratta delle opere, dal carattere monumentale, di Antonio Vassilacchi, meglio noto come l’”Aliense”, dal latino “alienus”, lo “Straniero”. 

A differenza di El Greco, il quale, rifacendosi inizialmente all’esempio di Angelos Akotantos (il primo pittore della tradizione bizantina a firmare il suo nome sulle sue icone, scrivendo in greco: Χειρ Αγγέλου, ossia per “Mano di Angelos”), continuò anche successivamente a firmare le sue opere in greco scrivendo Δομήνικος Θεοτοκόπουλος Κρης εποίει, ossia «Domenico Theotokòpoulos cretese fece», il pittore Vassilacchi accettò appieno il soprannome affibbiatogli a Venezia e scelse di firmare le sue opere in latino scrivendo “Antonius Vassilachius, Aliensis, fecit”. Per quanto secondaria rispetto alle scelte prettamente artistiche dei due pittori, questa diversità nel firmare le proprie opere tra El Greco e l’Aliense non è del tutto priva di significato e interesse. In questa differenza si manifesta un atteggiamento diverso da parte dei due pittori espatriati, sia rispetto alla propria identità e immagine di sé che al loro senso di appartenenza, alla loro collocazione in seno al contesto politico, sociale e artistico veneziano dell’epoca. Malgrado questa e altre differenze tra di loro, sia Vassilacchi che el Greco si inseriscono completamente nell’alveo dell’arte occidentale e furono fortemente influenzati dal clima artistico e ideologico che trovarono lontano dalla patria. Da questo punto di vista, ossia per quanto riguarda la loro integrazione e assimilazione artistica, gli altri pittori provenienti dalla Grecia che vennero a vivere a Venezia durante i secoli XVI e XVII, si mostrarono molto diversi.

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El Greco ed Aliense: i più celebri pittori greci che operarono a Venezia nel corso del tardo Rinascimento e del Manierismo./ Fonte immagini: Wikimedia Commons 

La migrazione artistica verso Venezia e la Scuola cretese

Infatti, sebbene l’Aliense e El Greco siano i più celebri pittori greci che operarono a Venezia nel corso del tardo Rinascimento e del Manierismo, non furono i soli. Prima o dopo di loro, un cospicuo numero di artisti dal mondo greco vennero a vivere nella laguna veneziana. Nella loro maggioranza essi provenivano dai possedimenti della Serenissima nel Mediterraneo sudorientale ed, in prevalenza, dal fiore all’occhiello dello Stato da Mar veneziano, l’isola di Creta allora chiamata Candia. 

Entrata a far parte della realtà politico-amministrativa della Repubblica marinara nel 1211, quando in seguito alla Quarta Crociata l’isola fu conquistata dai veneziani, Candia divenne gradualmente uno dei maggiori centri culturali del mondo greco. Sotto il dominio veneziano, l’isola si elevò a punto d’incontro tra la civiltà bizantina e quella rinascimentale dell’Occidente, e conobbe una straordinaria fioritura culturale in vari campi dell’arte e della letteratura. Un frutto di questa commistione culturale fu anche la cosiddetta Scuola cretese o postbizantina, di cui l’inizio si data intorno al 1457, che sviluppò un particolare stile pittorico marcato dalla fusione di elementi bizantini e occidentali. Pur attenendosi in gran parte alla tradizione iconografica bizantina, alcuni esponenti della Scuola cretese furono influenzati in modo significativo dai maestri del Rinascimento veneziano, quali Bellini, Tiziano, e più tardi Veronese. Entrando in fecondo dialogo con loro, gli artisti candiotti apportarono considerevoli innovazioni ai metodi, le tecniche e lo stile dell’arte bizantina. Organizzati intorno alla Scuola di San Luca –una corporazione di pittori fondata su modello italiano– i pittori cretesi riscossero la stima e l’ammirazione dei loro correligionari, e le loro icone erano molto richieste e domandate all’interno delle comunità ortodosse, e non solo, del tempo. Come dimostrano gli archivi veneziani, verso la fine del Quattrocento ed ai primi del Cinquecento, il commercio di icone tra Creta e Venezia manifestava segni di intensa attività ed era difatti divenuto una produzione di massa. Al fine di essere più vicini ai loro committenti, ai loro maestri o per altri motivi, alcuni dei rappresentanti della Scuola cretese si mossero spesso in quegli anni alla volta di Venezia.

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Carta di Venezia del 1572/ Fonte: Wikimedia Commons – Franz Hogenberg 1535-1590, Venetia 1572, CC BY-SA 3.0 – The Eran Laor Collection of the National Library of Israel

La comunità greca di Venezia

I pittori greci che decisero di prendere temporanea o fissa dimora nella città dei Dogi, seguirono le orme di un notevole numero di loro conterranei che, in quel periodo, si erano stabiliti a Venezia. In seguito alla Caduta di Costantinopoli in mano ottomana (1453), ma anche prima, un grande afflusso di mercanti, dotti, scribi, artisti, artigiani, operai ed altri, partirono dalla capitale bizantina o dai vari domini veneziani nell’Egeo e nello Ionio per insediarsi a Venezia, dove già nella seconda metà del Quattrocento costituivano la più grande comunità straniera della città. Per loro, Venezia, che allora trascorreva il suo periodo aureo, rappresentava un luogo “familiare” e ideale per mettervi radici. Lungo la sua storia la Repubblica di San Marco aveva quasi da sempre intrattenuto stretti rapporti commerciali e culturali con l’Impero Romano d’Oriente, dei quali rendono ancora testimonianza i numerosi monumenti in stile bizantino presenti sul suolo veneto. La Serenissima, a sentire il metropolita di Nicea Bessarione, più tardi divenuto cardinale della Chiesa latina, si presentava agli occhi dei greci “quasi alterum Byzantium”, come una seconda Bisanzio. 

Quindi, nel 1498 il Consiglio dei Dieci concesse alla comunità greco-ortodossa di costituire una confraternita o “scuola”, come si usavano chiamare all’epoca, dedicata a San Nicola di Mira. In seguito, nel 1514, il Doge Leonardo Loredan, sotto richiesta della comunità (1511), autorizzò l’erezione di una chiesa dedicata a San Giorgio. I lavori della costruzione iniziarono nel 1539 e furono completati nel 1573. La chiesa di San Giorgio dei Greci, come è nota fino ai nostri giorni, costituì da allora il fulcro della vita sociale e religiosa della comunità. Questi due avvenimenti –l’istituzione della confraternita e l’edificazione della chiesa, nella cui decorazione lavorarono molti artisti greci– facilitarono ulteriormente il trasferimento di molti altri greci a Venezia. Grazie alla presenza di questa folta comunità greca, dunque, venne a lavorare nella città anche un gran numero di pittori greci, i quali, sensibili alle esigenze dei loro committenti, eseguivano spesso sia per i loro compatrioti che per numerosi veneziani icone “alla maniera greca”.

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La chiesa di San Giorgio dei Greci/ Fonte: Wikimedia Commons, Didier Descouens, Chiesa di S.Giorgio dei Greci, CC BY-SA 4.0

I pittori greci nella laguna veneziana (XVI-XVII sec.)

Nel corso dei due secoli che videro l’arrivo di una moltitudine di pittori greci a Venezia, la vita artistica della Serenissima si trovava in pieno fermento ed era segnata dalle correnti del Rinascimento veneziano e più tardi del Manierismo. Tra gli artisti attivi in quel periodo nella città si annoverano alcuni dei più grandi maestri dell’arte italiana e mondiale, figure del calibro di Giovanni Bellini, Tiziano, Paolo Veronese, Jacopo Tintoretto, e Jacopo Bassano.

In base alle testimonianze disponibili, il primo importante pittore greco a mettere piede nella città di Venezia era Ioannis Permeniatis (Zuan o Giovanni Permeniate), citato per la prima volta in qualità di membro della Confraternita greca nel 1523. Artista di origini incerte e dalla tecnica particolare e flessibile, Permeniatis fu influenzato dalla Scuola postbizantina nonché dalle opere di Paolo Uccello e Giovanni Bellini. Nella sua più celebre opera, una pala d’altare in stile occidentale dal titolo “Madonna del latte in trono con i santi Giovanni Battista e Agostino”, conservata al Museo Civico Correr, Permeniatis attinge principalmente dalla sua contemporanea iconografia rinascimentale, sebbene non manchino anche elementi di matrice bizantina e tardo-gotica. In due altre icone che gli sono attribuite (la “Madonna Odighitria” e il “Cristo Pantocratore”), invece, Permeniatis si attiene perlopiù allo stile e l’iconografia bizantini. Lo stile peculiare di Permeniatis si distingue per una particolare attenzione al paesaggio naturale e alla sua raffigurazione prospettica sullo sfondo, qualità che lo avvicina alla sua coeva arte occidentale e a tanti esponenti di essa che nello stesso tempo mostravano un simile interesse.

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Ioannis Permeniati, “Madonna del latte in trono con i santi Giovanni Battista e Agostino” (Museo Civico Correr)/ Fonte: Wikimedia Commons

Nella prima metà del Cinquecento arriva a Venezia anche il pittore cretese Markos Strelitzas-Bathàs (o Vathàs) (1498-1578). Menzionato quale membro della Confraternita dei greci sin dal 1538, Markos Bathàs risiederà nella città dei Dogi fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1578. Autore di icone portatili e di alcuni disegni in una serie di codici manoscritti in greco, Strelitzas-Bathàs aprirà una bottega in città, e realizzerà anche alcune opere nella chiesa di San Giorgio, per cui gli verranno versate nel 1550 diverse somme dalla Comunità dei greci. Interessanti, però, e ricchi di risvolti simbolici sono i suoi disegni a margine di un codice delle Enneadi di Plotino con cui il pittore cretese introduce il motivo dell’artista, il quale esegue con l’aiuto di uno specchio il suo autoritratto. 

Su invito della Confraternita greca e con l’impegno di decorare la nuova chiesa di San Giorgio, a Venezia arriva verso la seconda metà del Cinquecento anche un altro cretese, il pittore Michaìl Damaskinòs (Michele Damasceno) (Candia 1530-35 – 1592-93). Conterraneo e contemporaneo di El Greco, e massimo esponente della Scuola cretese, Damaskinòs risiederà in laguna per un periodo di circa dieci anni (1568-69, 1574-1583), interrotto da un soggiorno a Messina (1569-1573). Nella chiesa della comunità, Damaskinòs eseguirà decine di icone, ancor oggi conservate nell’iconostasi e nell’abside. Artista di eccezionale versatilità e originalità, il pittore cretese si mostrerà assai sensibile agli sviluppi dell’arte veneziana e italiana e dipingerà, a seconda delle esigenze della committenza, opere sia in stile bizantino che occidentale. 

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A Sinistra: Michele Damasceno, Icona della Santa Liturgia – una composizione essenzialmente in stile ortodosso, ma con influenze occidentali, in particolare nella figura di Dio Padre. A Destra: Michele Damasceno, Decapitazione di santa Parasceva, in stile veneziano.

Durante la sua lunga permanenza a Venezia, Damaskinòs resterà particolarmente influenzato dai grandi maestri del Cinquecento italiano, come Paolo Veronese e Parmigianino, nella cui bottega lavorerà anche per un certo periodo, e adotterà spesso tanti elementi e valori occidentali, soprattutto del Manierismo (le forti torsioni e la sinuosità delle figure, l’elasticità delle proporzioni e la libertà della pennellata), per poi introdurli e rielabolarli, sempre in modo discreto, nelle sue icone. Dopo aver rinunciato alla proposta della comunità di occuparsi dell’ornamentazione della cupola di San Giorgio dei greci, Damaskinòs rientrerà a Candia, dove per il resto dei suoi giorni creerà alcune delle sue opere migliori (conservate oggi a Creta e Corfù), spesso marcate da uno stile misto, in cui sono evidenti le influenze italiane.   

L’incarico rifiutato da Damaskinòs fu accolto dal pittore Ioannis Kyprios (Zuane Ciprioto). Evidentemente originario di Cipro, il pittore dovrebbe esserci a Venezia già dal 1587. Secondo gli atti della comunità, Kyprios ricevette l’incarico di compiere gli affreschi della cupola nel 1589, lavoro che portò a termine entro 11 mesi, completando la figura del Pantokrator, sotto la supervisione di Tintoretto. Seguendo lo stile di Damaskinòs, il pittore cipriota rimase fedele alla tradizione bizantina, cosa che fu particolarmente apprezzata dalla Confraternita.

Pochi anni prima di Ioannis Kyprios, però, a Venezia si trova anche il giovane ed ancora ignoto pittore cretese Domenico Theotokopoulos (Candia 1541- Toledo 1614). Già divenuto maestro e, probabilmente, proprietario di una bottega nella sua isola natale, dove si era formato come pittore di icone bizantine, El Greco lascia Candia attorno al 1567 per non farvi più ritorno. La sua prima sosta in Italia è a Venezia. Sebbene breve, il soggiorno triennale di El Greco nella laguna veneziana sarà decisivo per la sua formazione artistica e segnerà il passaggio dell’artista dalla pittura postbizantina a quella occidentale. Facendo il suo apprendistato nella bottega di Tiziano, Domenico entrerà in contatto con le correnti del Rinascimento veneziano e del Manierismo e ne resterà colpito modificando il suo stile in modo sostanziale. 

A questo periodo del pittore sono attribuite solo pochissime opere firmate e molte altre di piccole dimensioni quasi tutte non firmate. Riguardo molte di queste ultime non esiste un comune accordo tra gli studiosi sull’affidabilità delle assegnazioni. Ai dipinti firmati, invece, oltre al summenzionato Trittico di Modena che è composto di sei soggetti tratti dalla Bibbia (Adamo ed Eva davanti al Padre Eterno, l’Annunciazione, il Battesimo di Cristo, l’Adorazione dei pastori e al centro la veduta del Monte Sinai e l’Allegoria del cavaliere cristiano), appartengono anche due quadri raffiguranti “San Francesco che riceve le stimmate”. 

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El Greco, Il lato frontale del Trittico di Modena/ Fonte: Wikimedia Commons

Nelle opere del periodo veneziano appaiono per la prima volta i caratteri distintivi del linguaggio pittorico di El Greco: le figure allungate che ricordano quelle del Tintoretto e del Parmigianino, nonché il tonalismo e l’uso dei colori tizianesco. Appresi durante il suo soggiorno nella città, questi elementi saranno poi elaborati dal genio artistico del pittore cretese e travasati in un’impronta stilistica del tutto idiosincratica, e non riconducibile ad alcuna corrente precisa. Dopo la sua fruttuosa esperienza a Venezia, El Greco si trasferirà per sette anni a Roma per poi emigrare a Toledo in Spagna, dove trascorrerà il resto della sua vita.

Nato all’isola di Milos nel 1556, figlio minore di Stefanos Vassilakis, che aveva combattuto e si era distinto nella battaglia di Lepanto, l’ancora giovanissimo Antonios Vassilakis arriva a Venezia intorno al 1572,  accompagnato dalla sua famiglia, e ci rimarrà fino alla sua morte, avvenuta nel 1629. Rimasto orfano di padre subito dopo il trasferimento, Vassilakis mostra un talento precoce nel disegno e viene inviato dai fratelli alla bottega di Veronese, ove imparerà la precisione e l’uso dei colori. Da qui inizierà la sua brillante carriera nella città dei Dogi che lo porterà ad occupare un posto di rilievo nel novero degli artisti della scuola veneziana del Seicento. 

Nel 1584, Vassilakis entrerà a far parte della Fraglia dei pittori veneziani, la corporazione dei pittori a Venezia, ove gli verrà attribuito il nomignolo di “Aliense”, ossia “Straniero”, che lo accompagnerà per tutta la sua vita e che lui stesso sovente adotterà per firmare le sue opere. Nel 1597 diventerà Gastaldo della suddetta Corporazione, mentre nel 1600 viene attestato come membro della Confraternita greca di Venezia.

Abile, piacevole colorista ed agile nel disegno, Vassilakis riceverà lungo il suo percorso artistico numerose committenze pubbliche e private e sarà autore di molti dipinti di vasto respiro che oggi si possono ammirare a Venezia (nel Palazzo Ducale, in dodici chiese della città e in altre collezioni venete), a Murano, a Perugia (nella chiesa di San Pietro nel monastero dei Benedettini), a Padova, e nel Vicentino. Aderendo appieno allo stile di vita, al clima ed al contesto artistico ed ideologico che trovò a Venezia, lo “Straniero” veneziano si ispirò all’estetica delle sue coeve correnti artistiche per creare un’opera che meritevolmente appartiene completamente alla storia della pittura veneziana a cavallo dei secoli XVI e XVII. 

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Antonios Vassilakis (Aliense), Presa di Tiro da parte dei Crociati e dei Veneziani sotto il comando del doge Domenico Michiel, (Palazzo Ducale, Venezia) / Fonte: Wikimedia Commons

Ricordato come membro della Confraternita greca già dal 1581, un altro pittore greco che visse per molti anni a Venezia è Thomàs Vathàs (Bathàs) (1544-1599). Originario di Creta Vathàs soggiornò a Venezia ininterrottamente a partire dal 1588 e fino al 1599, anno in cui morì. Prima aveva trascorso all’incirca tre anni (1585-1587) a Corfù dove era anche responsabile di una bottega. Stando perlopiù fedele alla tradizione iconografica e stilistica bizantina, il pittore vinse nel 1598 una gara indetta dalla Comunità per la rappresentazione di Cristo nell’abside del tempio. Rispetto agli altri pittori che parteciparono, Jacopo Palma il Giovane ed il prete Ioannis Vlastòs-Bunialetos, dalla Confraternita fu apprezzata la maggior aderenza del progetto di Vathàs alla “divota maniera greca”. Oltre a due grandi icone dell’iconostasi della chiesa della Madonna degli Angeli a Barletta (Cristo Pantocratore e la Madonna Odighitria), la sua più pregiata opera è la grande icona del Sogno di Giovanni con i sette candelabri e le sette chiese, conservata nella Chiesa di San Giovanni, nel monastero dell’Apocalisse a Patmos. L’opera fu eseguita, a quanto pare, su committenza dello stesso fondatore del monastero, Parthenios Pangostas, che nel 1596 era di passaggio da Venezia.

Allievo di Vathàs, sullo scorcio del Cinquecento arriva a Venezia seguendo, probabilmente, il maestro anche Emmanuìl Tzanfurnaris (Manuel Zanfornari) (Corfù tra il 1570 ed il 1575 – Venezia 1631). Della vita e dell’opera di questo pittore non si sa molto, e l’autenticità di molti dei dipinti che recano la sua firma è contestata. Datata (1595) si salva presso l’Istituto Ellenico di Venezia solo una sua icona raffigurante la Dormizione di San Spiridione con scene della sua vita, in cui il pittore si mostra strettamente legato alla tradizione della Scuola cretese, ma nello stesso tempo sensibile ai modelli della pittura occidentale. Oltre alla sua “Annunciazione” conservata nel Museo Benaki, degna di nota è un’icona raffigurante la “Dormizione di Sant’Efrem il Siro” conservata nella Pinacoteca vaticana, considerata una delle più belle opere della tradizione ortodossa.

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Emmanuìl Tzanfurnaris, Annunciazione della Vergine/ Fonte: Museo Benaki

Nei primi del Seicento, dal 1602 al 1628, operò a Venezia anche il pittore cretese Emborios Venediktos, autore di alcune icone, tra cui anche l’ “Ultima Cena” completata intorno al 1606, che ancor oggi adornano la chiesa di San Giorgio dei Greci.  

Alla fine del XVI secolo e nella prima metà del XVII si fa notare all’interno della Scuola cretese una svolta conservatrice. Sebbene i prestiti occidentali non manchino, gli esponenti di questo filone della pittura postbizantina seguono perlopiù rigorosamente lo stile tradizionale bizantino. A questo gruppo pittorico appartiene anche Filotheos Skoufos di Canea che operò intorno alla metà del Seicento a Venezia, occupando anche il posto di maestro della comunità greca e quello di parroco nella chiesa di San Giorgio dei Greci dal 1655 al 1659.  

Con Filotheos Skoufos collaborò a Corfù, prima di trasferirsi anche lui a Venezia, il suo conterraneo Emmanuel Tzanes (detto Bunialìs), considerato, assieme a Theodoros Poulakis, uno dei due più significativi pittori dell’ultimo periodo della Scuola cretese. Dopo l’inizio della guerra di Candia (1645) che porterà alla caduta dell’isola in mano ottomana nel 1669, un cospicuo numero di pittori cretesi aveva cercato rifugio nelle Isole Ionie. Tra loro si trovava anche Tzanes (Rethymno, 1610 – Venezia, 28 marzo 1690) che da lì partirà nel 1658 per installarsi a Venezia dove rimarrà per tutta la sua vita. 

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Emmanuel Tzanes (detto Bunialìs), San Marco Evangelista, (Museo Benaki, Atene)/Fonte: Wikimedia Commons

Rispetto ai suddetti tradizionalisti, Tzanes si mostrò molto più attento agli sviluppi dell’arte veneziana del Cinque- e Seicento. Fortemente influenzato da Tintoretto, il pittore cretese effettuò numerose ed innovative modifiche allo stile tradizionale, introducendo motivi decorativi dal repertorio barocco e privilegiando una raffigurazione del corpo più precisa, plastica e flessuosa. Tzanes rimase a Venezia fino alla sua morte, sopraggiunta nel 1690.

L’altro esponente di spicco dell’ultimo periodo della Scuola cretese, il pittore Theodoros Poulakis (1620/1622 – 1692) arriva a Venezia intorno al 1644. Nella città dei Dogi, Poulakis rimane per 13 anni consecutivi e in seguito si trasferisce a Corfù. Durante questo suo periodo veneziano entra in contatto con la vasta produzione contemporanea di calcografie europee e ne subisce l’influenza. Nelle sue icone, appunto, Poulakis si distingue per il carattere barocco e presenta un’evidente familiarità con la pittura fiamminga.

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Theodoros Poulakis, Inno alla Vergine/ Fonte: Wikimedia Commons

Nel corso dei secoli XVI e XVII, vari fattori geopolitici o motivi personali spinsero alla volta della Serenissima un grande numero di pittori greci. Essendosi formati, nella loro maggioranza, in un contesto culturale principalmente bizantino, essi manifestarono diversi livelli di apertura alla temperie artistica che incontrarono all’estero. Oltre ai due più noti pittori greci che in quel periodo vissero a Venezia, Domenico Theotokopoulos e Antonio Vassilacchi, che aderirono completamente al clima e ai precetti dell’arte occidentale, gli altri si attennero quasi sempre alla tradizione bizantina. Questa loro scelta non era dovuta solo alle loro inclinazioni e preferenze personali, ma era anche condizionata dalle esigenze dei loro committenti, di una folta comunità greca che in un contesto straniero voleva preservare la sua identità e tradizioni ortodosse. Tuttavia, essendo recettori sensibili, questi pittori, chi più e chi meno, non furono immuni dalle influenze del loro ambiente. Assimilando tecniche ed elementi delle loro coeve correnti artistiche, essi riuscirono a rinnovare in modo sostanziale l’arte tradizionale bizantina.   

 

Fonti:
Κonstantoudaki-Κitromilidou Μ. (2013), “Pittori greci nella laguna veneziana nel secolo XVI”, relazione tenuta in occasione dell’evento “Pittori greci attivi in Italia – Pittori italiani attivi in Grecia (XVI-XIX sec.)”, Istituto italiano di Cultura, Atene, ottobre 2013, traduzione di M. De Rosa
Moschonàs N., (2013), “Le composizioni storiche di Antonio Vassilachi-Aliense a Venezia”, relazione tenuta in occasione dell’evento “Pittori greci attivi in Italia – Pittori italiani attivi in Grecia (XVI-XIX sec.)”, Istituto italiano di Cultura, Atene, ottobre 2013, traduzione di M. De Rosa  
Kalafati K. P., (2013), “Pittori greci in Italia dalla fine del XV secolo al XVIII secolo” in “Immagine E Scrittura Presenza Greca A Messina Dal Medioevo All’ Età Moderna”, Catalogo delle Mostra a Messina e Palermo redatto a cura dell’Istituto Siciliano di Studi Bizantini e Neoellenici “Bruno Lavagnini
Ioannou K. P., (2016) “El Greco tra i “Madonneri”, la critica, le ideologie, il mercato. Nuove luci sul recupero del Trittico di Modena (1937) e su alcune sue conseguenze, passate e recenti” in “Studi di Storia dell’Arte”, 27.
Χατζηδάκης Μ. (1987), “Έλληνες ζωγράφοι μετά την Άλωση (1450-1830)”, Κέντρο Νεοελληνικών Ερευνών Ε.Ι.Ε, Αθήνα.
 
 

s.d. 

Da rileggere su PuntoGrecia:

Il “malato d’amore” e la letteratura cretese ai tempi del dominio veneziano, 04 giugno 2019

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