Il testo che segue è la seconda parte dell’articolo “Il tema dell’epidemia nella letteratura greca: dagli albori dell’età moderna all’Ottocento” pubblicato su PuntoGrecia il 21 maggio 2020 

Nella seconda metà dell’Ottocento, con l’avvento della “rivoluzione microbiologica” e la nascita della batteriologia, la plurisecolare interpretazione delle cause e della natura dei contagi e dell’infezione, e assieme a questa l’altrettanto antico schema di rappresentazione letteraria del male contagioso, subiscono un colpo decisivo. La spiegazione di natura metafisica e religiosa che considerava le epidemie al pari di una punizione divina che scendeva dall’alto per colpire città e uomini colpevoli di perfidia e empietà cede il passo alla medicina scientifica che man mano riesce in quegli anni a identificare dietro ogni malattia contagiosa un microbo responsabile, un unico agente patogeno causale.

A partire dal Novecento, quindi,  il tema letterario delle epidemie viene sottratto, nella sua raffigurazione, alla sfera “celeste” per tornare interamente al mondo terrestre e all’uomo. Ciononostante, la dimensione allegorica delle “narrazioni epidemiche”, ossia l’uso della malattia come metafora morale non viene meno.

Il circolo di Spinalonga

Nella prima metà del Novecento uscirono in Grecia tre opere la cui trama ruota intorno alla vita dei lebbrosi nelle varie colonie hanseniane, e in particolare in quella dell’isola di Spinalonga, situata di fronte alle coste nordorientali di Creta e operante come lebbrosario dal 1903 al 1957. Conosciuto già dall’antichità, il morbo di Hansen rappresentava fino alla metà del XX secolo una minaccia costante per l’umanità. La malattia veniva spesso collegata con comportamenti immorali e gli hanseniani stessi venivano da secoli emarginati e stigmatizzati in maniera implacabile, considerati vergognosi e contaminati anche dal punto di vista etico e morale. Susan Sontag scrisse a proposito che: «Nel Medioevo il lebbroso era un soggetto sociale nel quale diventava visibile la corruzione; un modello, un emblema di decadimento». 

Ai primi del Novecento e nel periodo interbellico, l’argomento suscitò in Grecia grande interesse sia nel mondo intellettuale che nell’opinione pubblica. Tant’è che numerosi giornali se ne occuparono pubblicando una serie di articoli e di servizi. In questo contesto uscirono anche i tre romanzi qui riassunti. La summenzionata rappresentazione della malattia come metafora morale è presente in tutti e tre. I loro autori, però, prescindendo dalle visioni e raffigurazioni stereotipate del morbo e degli hanseniani, usano piuttosto la “narrazione epidemica” al fine di illustrare che l’afflizione morale riguarda tutta la società. Non è un caso che tutti e tre scelsero quale scenario dei loro romanzi l’isola di Spinalonga, il lebbrosario per antonomasia in Grecia.

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L’isola di Spinalonga/ Fonte: User:Ggia, 20100820 Spinalonga island Crete Panorama, CC BY-SA 3.0, Wikimedia Commons

Il primo libro ad essere ambientato a Spinalonga fu nel 1914 “Άρρωστη πολιτεία” [Città malata] di Galatea Kazantzaki, prima moglie di Nikos Kazantzakis. La novella, scritta in forma diaristica, si apre con l’ingresso di una giovane hanseniana nel lebbrosario di Spinalonga e procede con la descrizione della sua vita all’interno della comunità dei malati. La trama segue i sentimenti e i pensieri contrastanti che generano nell’animo della protagonista sia la malattia e l’isolamento forzato sull’isola dei lebbrosi che l’esperienza del suo amore per un maestro. Dopo la sua iniziale reazione di ripugnanza e disprezzo nei confronti della comunità del lebbrosario, la protagonista giunge alla fine alla conclusione che i comportamenti umani, dentro o fuori dei confini dell’isolamento, sono gli stessi e l’unico fattore che differenzia i lebbrosi sono i sintomi esterni della loro malattia. Nel testo di Kazantzaki, allora fortemente influenzata dal pensiero nietzscheano, il morbo contagioso diventa il simbolo di una umanità decadente, di un’intera civiltà in declino.

La nozione che lo scadimento morale piuttosto che essere un tratto distintivo dei lebbrosi sia un carattere insito nella società contemporanea, contraddistingue anche il libro “Σπιναλόγκα: ad vitam” [Spinalonga: ad vitam] di Themos Kornaros (1933), una novella di stampo saggistico che assume le sembianze di un diario di viaggio. A differenza, però, del libro di Kazantzaki, Kornaros parte da una concezione della realtà di tipo marxista. Alla formidabile descrizione dell’orrendo universo di Spinalonga, delle piaghe e dei corpi deformati, l’autore affianca una denuncia contro la rapacità, l’ipocrisia e l’indifferentismo di fondo del sistema sociale, di cui Spinalonga viene a incarnare il fallimento morale.

Il terzo romanzo ambientato a Spinalonga è il “Γη και νερό” [Terra e acqua] di Guglielmos Abbott, pubblicato nel 1936. L’amore per la vita e la libertà e le speranze di riscatto, che peraltro animano le azioni degli hanseniani anche nei due romanzi precedenti, qui sfociano in un accanito tentativo da parte dei due protagonisti -Kosmas e Nikòlas- di scappare dall’isola-lebbrosario ed entrare in contatto con il mondo esterno. Quando questo fallirà, i due troveranno rifugio nei ricordi irrequieti del loro passato da sani, un passato, però, di dubbia moralità. La questione della morale individuale costituisce appunto il punto centrale del romanzo. Il mondo di Spinalonga, le vicende e il destino degli hanseniani, diventano all’interno della narrazione un’allegoria delle sorti e delle sfortune del Paese, per la cui ripresa l’autore suggerisce un ritorno ai valori della tradizione, della natura e della solidarietà cristiana. 

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Le “epidemie letterarie” del secondo dopoguerra

Nel secondo dopoguerra, il processo di metaforizzazione del tema letterario delle epidemie raggiungerà, sia in Grecia che all’estero, il suo apice. Nelle opere che trattano l’argomento, il morbo viene spesso privato di tutte le sue specificità e della sua storicità per diventare una pura metafora, un’allegoria generalizzata della condizione umana. 

Questa tendenza è evidente anche nei due ultimi romanzi della letteratura greca qui riassunti. L’aspetto letterale delle epidemie lascia in essi il suo posto a quello traslato. Assumendo, ognuno a modo suo, un atteggiamento critico nei confronti della realtà circostante, i due romanzi cercano attraverso la metafora dell’epidemia di porre in luce gli aspetti paradossali e l’assurdità della società loro contemporanea.

Il primo dei due è il romanzo “Λοιμός” [Peste] dello scrittore e giornalista Andreas Fraghiàs (1921-2002), pubblicato nel 1972 durante gli anni della dittatura dei colonnelli. La sua trama si svolge su un’isola controllata da un regime autoritario, un luogo narrativo che per molti versi sembra alludere, senza mai farne il nome, ai luoghi di esilio per gli oppositori politici di cui Fraghiàs aveva esperienza diretta. Agli abitanti dell’isola spetta un solo dovere: quello di obbedire ciecamente agli ordini impartitigli dagli altoparlanti sparsi per l’isola, che peraltro sembrano essere la fonte principale del contagio. Denudati dalle loro particolarità umane e ridotti in una massa abulica, gli internati, di cui non si viene mai a sapere i nomi e la fisionomia, eseguono una serie di compiti inutili e assurdi volti a liberare l’isola da parassiti, topi e mosche. Ricco di suggestioni orwelliane e rimandi kafkiani, il romanzo di Fraghiàs è una denuncia contro le tirannie di ogni genere. La malattia, la peste, quasi del tutto assente dal libro come condizione clinica (sintomi, decorso ecc.), si fa qui una metafora universale capace di svelare l’assurdità, gli aspetti antiumani e gli effetti depersonalizzanti insiti in ogni totalitarismo. 

φραγκιάς ματεσις

Una simile atmosfera distopica e paradossale permea, infine, anche “Graffito” [Graffito] (2009), ultimo romanzo dello scrittore e drammaturgo Pavlos Màtesis, tra i più illustri del secondo dopoguerra letterario greco. Da qualche parte in Grecia, in una città senza nome scoppia una peste che avente come epicentro iniziale il Parlamento del Paese, dilaga e infierisce successivamente sul resto del territorio. L’epidemia è onnipresente e tocca tutti i livelli della civiltà umana manifestando nel contempo sintomi realistici e surreali, colpendo alla stessa stregua uomini, animali, ma anche statue, edifici ed esseri soprannaturali come i cherubini. Nel romanzo di Màtesis, che altro non è che un’allegoria parodica di carattere sociopolitico, l’epidemia viene associata in senso traslato alla condizione dell’uomo moderno, alla morale e i costumi del mondo contemporaneo; il male diventa il quadro narrativo entro cui l’autore costruisce l’universo apocalittico di un mondo rassegnato e sconfitto che vede andare in frantumi i suoi ideali politici e ideologici, le sue convinzioni religiose e credenze popolari.

Immagine di copertina: Fotogramma tratto dalla puntata dedicata a Spinalonga della serie della Radiotelevisione pubblica greca-ERT “Εδώ γεννήθηκε η Ευρώπη”/ Fonte: Archivio ERT

Fonti principali:
(in greco)
Παλιοτζήκα Ε. (2019). “Η θεματική της επιδημίας σε έργα της νεοελληνικής λογοτεχνίας” (Αδηµοσίευτη Μεταπτυχιακή εργασία). Αριστοτέλειο Πανεπιστήμιο Θεσσαλονίκης, Θεσσαλονίκη. (Tesi di master disponibile in greco qui)
Δασκαλά Κ. (2011). “Η νόσος της λέπρας ως ταυτότητα: από τον Μεσσία-λυτρωτή στον λεπρό αγωνιστή” στο Ταυτότητες στον ελληνικό κόσμο (από το 1204 έως σήμερα) : Δ’ Ευρωπαϊκό Συνέδριο Νεοελληνικών Σπουδών Γρανάδα, 9-12 Σεπτεμβρίου 2010 : πρακτικά, Ευρωπαϊκή Εταιρεία Νεοελληνικών Σπουδών, Αθήνα, 2011, (disponibile in greco qui)
Νάτσινα, Α., Καστρινάκη, Α., Δημητρακάκης, Ι., Δασκαλά, K., (2015). Η πεζογραφία στη μακρά δεκαετία του 1960. [ηλεκτρ. βιβλ.] Αθήνα:Σύνδεσμος Ελληνικών Ακαδημαϊκών Βιβλιοθηκών.
(in italiano)
Stassi F. “Per una cosmografia della peste. Appunti sulla storia di una metafora nel romanzo del secondo Novecento” (disponibile qui)
Sontag S. (1979), Malattia come metafora. Il cancro e la sua mitologia, Einaudi, Torino.

s.d.

 

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